Nuovo tassello nella difficile inchiesta sulle presunte infiltrazioni mafiose nell’affare della costruzione dei termovalorizzatori in Sicilia. La guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Palermo, ha eseguito ieri perquisizioni in tutta Italia nelle sedi di tutte le associazioni temporanee di impresa, delle società consortili e delle agenzie pubbliche interessate alla costruzione degli inceneritori. Sotto la lente di ingrandimento delle Fiamme gialle sono passate tutte le società che facevano parte delle quattro Ati aggiudicatarie della gara, nel 2007 annullata dalla Corte di Giustizia Europea per difetto di pubblicizzazione. Le perquisizioni sono avvenute a Milano, Roma, Palermo, Cagliari, Caltanissetta, Enna e Agrigento, e sono stati sequestrati numerosi documenti relativi alla gara.Gli inquirenti avrebbero già riscontrato alcune anomalie nell’ambito degli ingenti flussi finanziari attorno all’operazione dei termovalorizzatori e adesso stanno indagando per verificare non solo l’esistenza di infiltrazioni della mafia, ma anche di eventuali episodi di corruzione e altre irregolarità. Perquisite, tra le altre, la Altacoen, ditta ennese, ammessa alla gara anche se priva di certificato antimafia, la Falck, che capeggiava tre dei quattro raggruppamenti di impresa assegnatari dell’appalto, la Daneco Gestione Impianti e l’ente appaltante, l’Arra, l’Agenzia regionale rifiuti e acque.Una vicenda, quella dei termovalorizzatori in Sicilia, su cui si sono consumati duri scontri politici e che risulta particolarmente attuale alla luce della grave emergenza rifiuti che l’isola si trova a vivere in questi mesi. A causa dell’inadeguatezza delle discariche e delle gravi inefficienze nel servizio di raccolta, spesso gestito da società in cronica situazione debitoria, come l’Amia a Palermo, la Sicilia rischia di trasformarsi in un altro caso Campania.L’indagine giudiziaria, oltre che su presunte infiltrazioni mafiose nell’affare termovalorizzatori, cerca di far chiarezza sulla regolarità della gara e sull’eventuale esistenza di accordi di cartello tra le Ati aggiudicatarie che, con la compiacenza di funzionari pubblici a cui sarebbero andate tangenti, si sarebbero spartite a tavolino i lavori e poi, dopo la bocciatura europea, avrebbero fatto andare deserte le gare successive per indurre la Regione ad abbandonare la strada del bando pubblico. L’avviso per la realizzazione dei termovalorizzatori venne pubblicato nel 2002 dall’allora commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione siciliana. Le gare furono aggiudicate a quattro associazioni temporanee di impresa, costituite da varie società di tutta Italia interessate alla costruzione dei termovalorizzatori a Bellolampo a Palermo, a Casteltermini, in provincia di Agrigento, a Paternò, nel Catanese, e ad Augusta, in provincia di Siracusa.Un progetto fortemente voluto dal governo regionale presieduto dall’ex governatore Salvatore Cuffaro, ma che, dopo le dimissioni dell’esponente Udc, il nuovo esecutivo guidato da Raffaele Lombardo ha deciso di abbandonare, forte anche di un pronunciamento dell’Alta Corte europea che ha rilevato anomalie nei bandi di gara.Nei giorni scorsi Lombardo ha presentato alla Procura di Palermo un dossier sul business dei termovalorizzatori. Anzi, questo è uno degli argomenti forti che il governatore, coinvolto nell’inchiesta di Catania, sostiene come prova della sua politica di contrasto alla criminalità organizzata. Il presidente della Regione sarà sentito oggi, alle 16, dai pm titolari dell’inchiesta sui termovalorizzatori, i sostituti Nino Di Matteo e Sergio De Montis e l’aggiunto Leonardo Agueci. Il governatore viene sentito come persona informata sui fatti. Sul suo blog fa una stima del giro d’affari illeciti che sarebbe stato contrastato con l’annullamento della gara: "La mafia si è infilata in un sistema che le avrebbe consentito ... un affare che avrebbe fruttato, chi dice cinque, chi dice sette miliardi di euro, e una rendita annua di centinaia di milioni di euro per i prossimi 20-30 anni".