mercoledì 1 novembre 2017
Le destinazioni preferite sono Austria e Ungheria. Il motivo? In Italia mancano impianti di trattamento adeguati perché la raccolta differenziata non decolla, soprattutto al Sud
Una foto dell'archivio di una discarica romana (Ansa)

Una foto dell'archivio di una discarica romana (Ansa)

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Ogni anno 433mila tonnellate di rifiuti prodotti in Italia prendono la strada dell’estero. La destinazione preferita? Austria e Ungheria. Succede perché nel nostro Paese mancano impianti di trattamento adeguati e perché la raccolta differenziata, sia pur molto cresciuta negli ultimi dieci anni, avanza a diverse velocità, con il Sud ancora molto indietro rispetto al Nord. Il risultato è che ogni tonnellata in viaggio oltreconfine, su tir, treno o nave, «costa per trasporto e smaltimento fino a 200 euro, a seconda delle varie gare europee » spiega Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente.

Il totale è presto fatto: oltre 86 milioni in un anno. «Con una differenza sostanziale rispetto al passato: una volta l’approdo era il Nord Europa, in Paesi dove i controlli erano ferrei. Oggi la direzione dell’Europa centro-orientale è assai meno rassicurante: i materiali possono infatti finire in discariche di dubbia qualità, aumentando i rischi ambientali per i territori che li ospitano».

La follia dei trasporti di rifiuti in giro per l’Italia e per il Vecchio continente è stata fotografata ieri dal rapporto Ispra e sembra assumere ormai contorni paradossali. I numeri diffusi dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dicono che l’export ha ormai doppiato l’import, fermo a 208mila tonnellate.

Il peso delle lobby e i pochi impianti

Prendiamo il caso di Roma: ogni giorno escono dalla Capitale 170 Tir in direzione delle regioni settentrionali. Obiettivo: smaltire i rifiuti che restano bloccati nei cassonetti, «perché mancano gli impianti per trattare il materiale organico in questa metropoli e perché la lobby di chi dice no a tutto, a partire dal biogas, è più forte di qualsiasi ragionamento politico».

Quel che accade nella Città Eterna vale da monito per il resto d’Italia. A seconda di come operano famiglie, enti locali e industria, infatti, c’è la possibilità di incontrare un Paese virtuoso oppure no, un insieme di buone pratiche o l’emergenza, segnali di cultura ecologica o danni all’ecosistema. Quel che è certo è che nel 2016 sono diminuite sia le discariche attive che i rifiuti in esse conferiti. «La scarsa dotazione impiantistica – sottolinea il rapporto Ispra – fa sì che in molti contesti territoriali si assista ad un trasferimento dei rifiuti raccolti o sottoposti a trattamento biologico in altre regioni o all’estero, dove la capacità di trattamento risulta superiore ai fabbisogni». A livello nazionale, il materiale smaltito in discarica è diminuito del 5% rispetto al 2015, con un crollo del 13% nelle regioni del Nord e il coinvolgimento di 134 siti nello smaltimento del circuito urbano, 15 in meno rispetto a dodici mesi prima.

«Ciò significa che sta avvenendo contemporaneamente un aumento della raccolta differenziata da una parte e un avvio al riciclo dall’altra – osserva Ciafani –. L’operazione da fare è semplice: deve salire ulteriormente il livello e la qualità della raccolta differenziata, così da poter fare a meno delle discariche».

L’ostacolo della burocrazia

Le buone notizie arrivano dal Centro Nord, con Treviso (87,9%) Mantova (86,4%) e Pordenone (82,3%) a quote ben superiori di raccolta differenziata da quella già ottimale fissata per legge al 65%. Ma esempi positivi riguardano anche Sardegna e Campania, eccezion fatta per Napoli. «I 'bubboni' sono rappresentati da Roma, dalla Calabria e dalla Sicilia. Il nodo da affrontare è chiaro – dice il direttore scientifico di Legambiente –. Chi dice 'rifiuti zero' sia coerente e proponga nello stesso tempo 'impianti mille', per il riciclo dell’organico differenziato con nuove tecnologie in grado di produrre biometano».

Il problema non è solo l’assenza di infrastrutture di smaltimento ad hoc, ma anche la mancanza di decreti attuativi e autorizzazioni regionali. La burocrazia è il primo ostacolo all’economia circolare e fa il gioco di tante lobby invisibili. L’elenco è lungo e comprende chi controlla raffinerie, impianti di gas fossile, cave. Persino i produttori di cassonetti, «la prima cosa che Virginia Raggi dovrebbe avere il coraggio di eliminare a Roma» dice Ciafani. Serve più pragmatismo e meno ideologia, insomma, anche perché i risultati ci sono: in dieci anni la raccolta differenziata nazionale è raddoppiata, passando dal 25,8% al 52,5%.

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