Marcia a Domusnovas contro la produzione di armi nell’impianto Rwm, situato a cavallo tra la cittadina e la vicina Iglesias.
La strada provinciale n.4 per Villacidro è bloccata. «Non si può proseguire. Dovete tornare indietro». Le due guardie giurate in maglietta verde sorridono ma sono categoriche. «Foto? Sì ma dovete restare dietro quella linea», affermano, indicando il limite esterno del parcheggio. Impossibile, da questa distanza, intuire anche solo la forma dello stabilimento contenuto all’interno del perimetro “off limits”. «Questione di sicurezza».
In effetti, dietro il muro di cemento giallo che sorge alla periferia di Domusnovas, in località Matt’è Conti, si fabbrica una merce “delicata”. «Sistemi antimine, testate missilistiche, dispositivi elettronici con spolette», dice il sito ufficiale della società Rwm Italia che qui, nella provincia del Sud Sardegna, ha l’unico stabilimento produttivo, mentre la sede amministrativa è a Ghedi, nel bresciano. Il portale della “Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza” parla, più esplicitamente, di «bombe d’aereo general purpose e da penetrazione» e una vasta categoria di manufatti affini.
Nel sud-ovest della Sardegna, nel cuore del Sulcis- Iglesiente – tra le regioni più povere d’Italia –, una delle poche aziende “sopravvissute” alla crisi mineraria realizza armi. In particolare bombe – 19.675 l’anno scorso – Mk-80. Le stesse, con tanto di codici Rwm – come hanno denunciato varie Ong e Avvenire ha documentato in numerose inchieste – ritrovate in Yemen dopo i raid della coalizione a guida saudita che, dal 2015, è in guerra con i ribelli Houthi. Sulla questione, Rwm ha scelto il silenzio: contattata, non ha risposto all’email. Dalla relazione finanziaria 2016, tuttavia, risulta un «ordine significativo» di «munizioni» da 411 milioni da parte di un cliente dell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), di cui l’Arabia Saudita è parte.
Mentre i clienti restano “riservati”, evidenti sono gli ottimi risultati economici dell’azienda. Il fatturato di Rwm – appartenente alla tedesca Rheinmetall Defence – si legge nel bilancio 2016, è di 50 milioni di euro. Tanto che la società – la terza nel settore, con 45 nuove autorizzazioni per l’export concesse dal ministero degli Esteri italiano lo scorso anno – ha deciso di ingrandire l’impianto sardo. Il progetto – illustrato a Berlino il 9 maggio – prevede la costruzione di un «nuovo campo prove 140» adiacente allo stabilimento di Domusnovas. L’opera – che ricadrebbe nella porzione di territorio situata nel comune di Iglesias – richiede un investimento da 40 milioni di euro. E il reclutamento di altri 40 dipendenti. Questi si aggiungerebbero agli 86 attuali e all’indotto prodotto dalla fabbrica di un centinaio di posti di lavoro.
Numeri non da capogiro ma comunque significativi. Non solo per Domusnovas – che ha circa 6mila abitanti – ma per l’intero Sulcis, dove la disoccupazione raggiunge quota 65 per cento. Eppure, anche in una zona tanto depressa, sta prendendo forma un movimento della società civile per la creazione di lavori alternativi alla produzione di bombe. Uno «sviluppo realmente sano e sostenibile» senza sottostare al ricatto di un «impiego a qualunque costo».
Anche a quello di «rendersi complici di un conflitto che ha generato una delle peggiori catastrofi umanitarie degli ultimi sessant’anni», spiega Arnaldo Scarpa, portavoce del neonato Comitato per la riconversione di Rwm. «La legge 185 consente la riconversione dell’industria bellica, modificando la produzione. Senza, dunque, pregiudicare l’occupazione. Negli anni Novanta è già stata utilizzata. Emblematico è il caso della Valsella, passata dalla fabbricazione di mine anti-uomo a quella di componenti elettronici.
Certo, è necessaria una volontà politica. Per questo, vogliamo mobilitare l’opinione pubblica», spiega Cinzia Guaita, l’altra portavoce, durante una riunione nella chiesa sconsacrata del Salvatore, la più antica della “città delle chiese”, Iglesias, appunto. Da lì – dal complesso chiamato “I giardini della biodiversità”, dato in gestione dal Comune alle associazioni – è partita la grande manifestazione del 7 maggio che ha dato origine, una settimana dopo, al Comitato. Un’entità plurale: nel fanno parte 24 realtà, dal movimento dei Focolari a Legambiente, da Sardegna pulita alla Federazione delle Chiese evangeliche, dall’Arci alla Fondazione finanzia etica, dal centro studi Sereno Regis alla Rete per la sanità pubblica. Tanti, però, di quanti lo formano riconoscono un’ispirazione nelle parole di papa Francesco contro i «mercanti di morte».
Anzi, il 3 maggio, Arnaldo Scarpa, del movimento dei Focolari, ha scritto a Bergoglio per raccontargli il progetto del Comitato e chiedergli una benedizione. La risposta è arrivata un mese dopo, in una lettera a firma del sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu.
«Il Papa è lieto di sapere che vi state concretamente interessando nel promuovere un lavoro dignitoso alternativo alla costruzione delle armi, in un territorio ancora attraversato dalla grave crisi occupazionale. La pace è un bene talmente prezioso che il lavoro per la sua edificazione non può conoscere tentennamenti e va sempre congiunto con la ricerca dell’autentica unità e fraternità », si legge. Anche il vescovo di Iglesias, monsignor Giovanni Paolo Zedda, definisce «positiva» l’idea della riconversione. «Il sacrosanto diritto al lavoro e il doveroso impegno per la pace non sono sullo stesso piano. Il lavoro deve essere pienamente umano, degno in tutti i suoi aspetti – sottolinea monsignor Zedda –. Una società veramente civile non può sopportare un lavoro che dona sussistenza alle famiglie degli operai, ma contemporaneamente provoca morte in altre parti della terra. La proposta della trasformazione è certamente la strada più giusta. Non è facile, tuttavia, operare una riconversione se non c’è una volontà politica seria da parte di tutti gli attori coinvolti, dallo Stato alla Regione ». Quest’ultima, finora, ha glissato. «Le proposte sul campo, sono dunque, al momento, deboli.
Ci vuole una programmazione economica diversa per “bonificare” il deserto economico chiamato Sulcis. Fino a quando non ci sarà, il sindacato deve difendere, pur con fastidio, anche fabbriche di merci “non piacevoli” », afferma Fabio Enne, segretario generale della Cisl del Sulcis. Qualcosa, però, nell’immobile microcosmo politico, s’è mosso. Il 20 luglio, il Comune di Iglesias ha preso, all’unanimità, l’impegno a «realizzare tutte le azioni atte a creare le necessarie precondizioni funzioni alla possibile riconversione» di Rwm, nella garanzia degli attuali livelli d’occupazione. Un piccolo passo. Del resto, il Comitato lo ripete spesso: «La nostra è la lotta di Davide contro Golia».