La novità politica è che la famiglia è il punto numero uno tra le cento proposte elettorali del Pd, i «cento piccoli passi» - così li definisce il segretario Matteo Renzi - del principale partito di centrosinistra. I figli anche prima del lavoro, che infatti si piazza al secondo posto della lista. Una impostazione culturale che l’ex premier, da Bologna, dove presenta il programma dem, difende e rivendica. Nella convinzione che questa è la strada giusta per tentare la rimonta rispetto alle indicazioni dei sondaggi a un mese dal voto.
La proposta definitiva del Pd sulla famiglia, dopo vari ritocchi e accorgimenti, è l’«assegno universale». In sostanza, una detrazione da 240 euro mensili fino al 18esimo anno di età del figlio, di 80 sino al compimento dei 26. Una misura unica da zero a 100mila euro di reddito, senza distinzioni e disponibile anche per le partite Iva. Il costo è di 24 miliardi circa, ma 14 arrivano dall’eliminazione di tutti i sussidi e strumenti ora esistenti. L’intervento, insomma, vale 10 miliardi. Fatta la tara tra il sistema ora esistente e quello congegnato dai dem, Renzi assicura che in media «il beneficio sarà superiore agli 80 euro». Con la clausola di salvaguardia per chi, dal cambio tra vecchio e nuovo regime, potrebbe perderci soldi anziché guadagnarne: «Nessuno prenderà meno di quanto prende adesso». Secondo il responsabile del programma del Pd, Tommaso Nannicini, una famiglia con un solo reddito da lavoro da 35mila euro all’anno e due figli a carico sotto i 3 anni avrà 3.200 euro in più su base annua.
Il pacchetto-famiglia comprende anche un bonus da 150 euro mensili per gli under30 con reddito inferiore ai 30mila euro che lasciano il nido di mamma e papà. E un’altra misura universale per i 0-3 anni da 400 euro mensili da investire in nidi o baby-sitter, in sostituzione dei bonus ora esistenti. Il tutto attraverso una card digitale. Dal punto di vista della conciliazione lavoro-famiglia, il Pd estenderebbe a 10 giorni il congedo obbligatorio per i padri e renderebbe vincolante per i datori la concessione del "lavoro agile" per la mamma che rientra al proprio posto dopo la maternità. Una parziale novità è l’incentivo alle mamme a tornare al lavoro: il 30 per cento dello stipendio che prende chi va in maternità facoltativa resterebbe come buono-spesa.
Per sostenere i suoi «piccoli passi possibili», Renzi deve però contrastare le proposte di M5S e centrodestra. Per cui sul palco dell’opificio Golinelli di Bologna campeggia una scritta: «Gli altri promettono il Paese dei balocchi. Noi abbiamo un altro programma». «Il reddito di cittadinanza è un incentivo a licenziare», insiste il segretario dem. Mentre l’economista Gutgeld, mente della spending review degli ultimi governi, obietta che «la flat tax è una stangata al ceto medio».
A Bologna poca polemica politica, per una volta. «Se vinceremo resteremo uniti», scherza Renzi. Che sulle liste ci torna solo per un passaggio: «Non sono candidati fedeli a me ma ad un’idea di futuro». Tornando al programma, sul fronte lavoro il Pd promette quattro punti di riduzione in 4 anni del cuneo contributivo per i contratti a tempo indeterminato. Confermata anche l’introduzione del salario minimo legale. Dal punto di vista macroeconomico, Renzi fissa obiettivi ambiziosi sul fronte della crescita (oltre il 2 per cento) e più prudenti sul debito pubblico, «arriveremo al 100 per cento del rapporto debito/Pil in 10 anni». Torna ambizioso, il segretario, sul lavoro: la disoccupazione sotto il 9 per cento e quella giovanile sotto il 20. Passando, nel complesso, a 24 milioni di occupati entro la legislatura. Fronte imprese, l’impegno preso è portare l’Ires al 22 per cento. Prendendo spunto dagli ultimi dati sull’evasione, il Pd propone una "patente fiscale" per premiare con riduzioni burocratiche e "premi" chi ha sempre pagato regolarmente. Sul capitolo-diritti, il Pd rilancia sullo ius soli temperato e lo ius culturae, mentre sulle adozioni usa una formula vaga: «Tutti i bambini sono uguali a prescindere dalle famiglie nelle quali sono nati. Occorre modificare la legge sulle adozioni ferma al 1983, in quanto non tiene conto delle evoluzioni sociali e del diritto di famiglia».