mercoledì 2 dicembre 2009
Pressati dai debiti e con le banche che non concedono più crediti, i centri di riabilitazione laziali associati all'Aris verso il passo più doloroso: potrebbero essere oltre 1200 i pluriminorati dimessi a partire dal 2010. E parallelamente perderanno il posto di lavoro 300 dipendenti.
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Un grido d’allarme che prelude a misure drastiche e dolorose. È quello che lanciano i centri di riabilitazione del Lazio associati all’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), Foai (Federazione degli organismi per l’assistenza alle persone disabili) e Fondazione Don Gnocchi, che a causa del mancato versamento di quanto promesso dalla Regione hanno deciso di ridurre il numero di persone ospitate, per poter continuare a mantenere la stessa qualità: dal 1° gennaio 2010 dovranno essere dimessi circa 1200 persone con disabilità multiple e, nello stesso tempo, perderanno il lavoro 1300 persone. «Le nostre strutture sono pressate dai debiti e le banche non fanno più crediti» lamenta il presidente dell’Aris, fratel Mario Bonora. Al 31 dicembre di quest’anno si profila un passo doloroso: la dimissione di «oltre 1200 pluriminorati, molti dei quali senza alcuna assistenza familiare», dai centri di riabilitazione presenti nella Regione Lazio, nei quali sono attualmente ricoverati. Oltre a loro a finire in strada saranno, dal 1° gennaio 2010, oltre 1300 lavoratori degli stessi Centri di riabilitazione. La decisione, figlia del mancato versamento da parte della Regione Lazio di quanto concordato nel maggio scorso, è stata presa dal comitato di coordinamento dei Centri associati all’Aris, alla Foai e alla Fondazione Don Gnocchi: «Il mancato recupero dei tagli decretati nel gennaio di quest’anno – si legge in una lettera inviata al vice presidente della Regione Esterino Montino – nonostante l’accordo siglato a maggio tra le associazioni, la regione Lazio e il Codacons, e le reiterate assicurazioni da Lei pervenuteci anche a mezzo stampa, ha comportato un ulteriore pesante aggravamento della già enorme criticità finanziaria che sta mettendo in ginocchio i nostri centri». La situazione finanziaria è talmente grave che i centri non sono più un grado di assicurare cure di qualità adeguata agli oltre 12500 pluriminorati assistiti. Di qui la decisione di dimetterne l’8%. A questo «seppure doloroso ma inevitabile provvedimento – si legge in un comunicato – se ne aggiungerà un altro, altrettanto doloroso e inevitabile, cioè la messa in mobilità del personale. A breve seguirà il blocco delle liste d’attesa con grave disagio per i cittadini». Spiega il presidente dell’Aris, fratel Mario Bonora: «Siamo molto addolorati, ma vorremmo che ci fosse una presa di coscienza. Si tratta di persone molto svantaggiate, con pluriminorazioni, che vengono assistite praticamente solo da opere della Chiesa. Ci troviamo nelle condizioni di dover fare una triste selezione per dimetterne alcuni per continuare a garantire la qualità dell’assistenza». La situazione debitoria dei centri di riabilitazione è pesante: «Le banche hanno ormai chiuso le porte del credito, e le nostre istituzioni non riescono a onorare i debiti, con la conseguenza che i fornitori non sono più disposti ad assicurare beni essenziali». All’origine stanno le difficoltà economiche della Regione Lazio: «Quando a gennaio fu annunciato il taglio dell’8% da parte della giunta Marrazzo, i nostri tecnici presentarono studi per documentare come la situazione sarebbe divenuta insostenibile. A maggio fu promesso che i fondi sarebbero stati reintegrati, e i centri di riabilitazione hanno continuato a fornire la solita assistenza. Ma i soldi non sono mai arrivati». Da parte sua la Consulta della diocesi di Roma per la pastorale sanitaria ha preso atto che si va aggrava la condizione di precarietà in cui versa l’assistenza per i continui tagli delle risorse: «Di qui l’invito a tutte le autorità – spiega un comunicato del Vicariato di Roma – ha disporre i provvedimenti necessari per risolvere tale deprecabile situazione e ad assumersi ogni responsabilità di fronte all’opinione pubblica e ai singoli cittadini fruitori del servizio sanitario nazionale».
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