Conte ascoltato in Commissione parlamentare sul caso Regeni - Ansa
Una "manifestazione tangibile di volontà" sul caso Regeni. Un segnale, che il governo auspica nel prossimo incontro tra magistrati italiani ed egiziani in programma il primo luglio. Giuseppe Conte racconta di averlo chiesto al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi nel colloquio che hanno avuto al telefono il 7 giugno, di fronte a una nuova dichiarazione di"disponibilità a collaborare". Il premier viene ascoltato, ieri sera, per più di due ore in commissione parlamentare d'inchiesta su Giulio Regeni. E difende la scelta di "intensificare" le relazioni con l'Egitto, non interromperle, come strumento per ottenere risultati. Il governo, assicura, ha fatto "puntuale e costante richiesta" di ottenere le "rogatorie" necessarie ai rinvii a giudizio delle cinque persone indagate in Italia per il "barbaro assassinio" di Giulio Regeni. "Se c'è incapacità di raggiungere risultati maggiori lo potete imputare a me direttamente", racconta di aver detto ai genitori del ricercatore friulano.
La Lega è assente ieri sera in commissione, in dissenso con la scelta di fissare l'audizione alle 22. Ma Conte spiega che non c'erano altri spazi in agenda, di essere venuto appena possibile. Il premier chiede di secretare la parte dell'intervento in cui riferisce di quanto gli ha detto nell'ultimo colloquio del 7 giugno il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, per una questione di correttezza verso un capo di Stato straniero.
Per il resto la seduta è pubblica e a incalzarlo di più sono il presidente della commissione e deputato di Leu Erasmo Palazzotto e la deputata Pd Lia Quartapelle, che al premier rendono conto del dato "sconcertante" della vendita delle armi all'Egitto: "Da quando lei è presidente del consiglio l'Egitto è passato da quarantaduesimo paese con cui commerciavamo armi, a decimo paese nel 2018, a primo", dice Quartapelle. "Oltre alle due fregate Frimm vendute al Cairo ci sono nove miliardi di commesse in armamenti", sottolinea Palazzotto, chiedendo se Conte non intenda condizionare i futuri contratti a risultati sul caso Regeni e interrompere i rapporti senza risultati.
Il premier non risponde nello specifico ma difende il principio: "Meglio un dialogo per quanto franco e a tratti frustrante piuttosto che interrompere i rapporti. Non posso escluderlo ma non siamo ancora a quel punto, verificheremo passo dopo passo. Non c'è assoluta stasi ma passaggi avanti piccoli e inappaganti", dichiara Conte. Che riferisce sia del colloquio avuto il 14 gennaio al Cairo con Abdel Fattah al-Sisi che di quello telefonico dello scorso 7 giugno. In ogni occasione,assicura, "ho sollevato" il caso Regeni. E finché non sarà risolto non si potranno "sviluppare appieno" le relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto, a partire dal rifiuto di svolgere visite di Stato al Cairo. "La ferita non si può rimarginare" e preoccupa, sottolinea il premier, la "lentezza della collaborazione" giudiziaria anche se con il nuovo procuratore del Cairo la cooperazione è sembrata migliorare. "Inflessibili sulla verità, speriamo di raggiungerla", dichiara il premier. Ma intanto l'interruzione dei rapporti diplomatici, già decisa in passato con il ritiro dell'ambasciatore, per Conte non è la soluzione migliore.
"Mantenere un'interlocuzione costante" con l'Egitto "permette di esigere rispetto" degli impegni. "Confrontarsi non è giustificare e dimenticare ma cercare di influire". Inoltre il Cairo ha un ruolo cruciale in Libia e Siria, nella lotta al terrorismo e nella gestione dei flussi migratori: quella che l'Italia intrattiene non è una "mera collaborazione economica".
Cruciale per capire se passi avanti concreti sono possibili sarà l'incontro - il dodicesimo - in programma tra due settimane tra i pm italiani e quelli della procura generale de Il Cairo. I magistrati italiani si attendono risposte sulle richieste avanzate su alcuni tabulati telefonici e sulla rogatoria inviata ad aprile 2019 con la quale si chiede all'autorità giudiziaria del Cairo conferme sulla presenza a Nairobi, nell'agosto del 2017, di uno dei cinque indagati a Roma, il maggiore Sharif, che secondo un testimone avrebbe raccontato delle "modalità del sequestro di Giulio" nel corso di un pranzo. Ma un altro atto, formale ma essenziale, è destinato a dare la misura di concreti passi avanti: la risposta alla richiesta di notifica del domicilio legale dei cinque indagati. Sarebbe, osserva Di Maio, "un significativo passo avanti".