La Lega fa muro e 'uccide' l’idea di accorpare referendum elettorale, europee e amministrative. Election day sabato 6 e domenica 7 giugno? Roberto Calderoli, al termine di un vertice a via Bellerio con Bossi e gli altri ministri del Carroccio, scandisce il suo no: è anticostituzionale e finora non è mai successo. Capitolo chiuso. Ora però serve la soluzione e tocca ancora a Silvio Berlusconi muoversi. È lui a chiamare Bossi. A ripetergli che sarebbe assurdo costringere gli italiani a votare tre domeniche elettorali consecutive, 7-14-21 giugno. Insomma serve un’intesa e la Lega a fine vertice batte un colpo. «Anche in questo caso cerchiamo una soluzione... Lo abbiamo sempre fatto per essere in pace con gli alleati», ripete il sottosegretario Roberto Castelli. La soluzione a questo punto è una sola: un 'mini accorpamento' tra il referendum e i ballottaggi delle amministrative il 21 giugno. Un’ipotesi che a tarda sera confermano le parole di Fabrizio Cicchitto: quella del 21 giugno – ripete il presidente dei deputati del Pdl – è «la data più ragionevole» per il referendum elettorale. C’è, insomma, la soluzione (o almeno è a portata di mano), ma c’è anche un crescente fastidio verso la linea dura della Lega e Cicchitto scandisce l’atto d’accusa: «È indispensabile che ogni forza politica, Lega compresa, si faccia carico di tutti i problemi che stanno in campo perchè non è neanche ipotizzabile che se ne risolva uno lasciando aperti gli altri». Si guarda avanti e sembra ormai assodato che si procederà per decreto a spostare proprio al 21 giugno il termine ultimo della consultazione referendaria che, per legge, deve tenersi tra il 15 aprile ed il 15 giugno.Franceschini attacca ancora: «Non è moralmente serio in questo momento buttare i soldi dalla finestra quando servono per i terremotati». Ma Cicchitto si ribella: «Di strumentalismi sul referendum ne stanno emergendo molti, forse troppi. Anche coloro che lo hanno proposto avevano messo nel conto che esso implica una spesa rilevante... ». La soluzione è vicina e la linea di chi, anche nel Pdl, reputa prioritario privilegiare il rapporto con la Lega, coesione e capacità operativa di governo e maggioranza, rispetto alla battaglia referendaria prevale. Maurizio Gasparri ha una sua idea e un suo perché. «Non siamo più nell’Italia di Prodi e dei 10 mila partiti, la riforma politica è già avvenuta con la nascita del Pdl e del Pd e non è necessario strattonare la Lega con ulteriori accelerazioni», chiarisce il presidente dei senatori del Pdl che chiosa: «Le urgenze adesso sono altre. Dobbiamo pensare al terremoto, alla crisi economica, portare avanti alla Camera ed al Senato l’iter di diverse leggi, senza che questo voglia dire cedere ai diktat della Lega, che a sua volta deve saper fare un passo indietro, non innalzare bandiere su certe norme come ha fatto di recente sui tempi di permanenza nei Cie. Insomma, cercare l’intesa discutendo nella maggioranza è una buona norma che deve valere per tutti». Parole chiare e anche Berlusconi, che rientrerà oggi dalla Sardegna, nei suoi contatti telefonici ha mostrato di gradire la ricerca di un compromesso con il prezioso e fidato alleato leghista, a patto che sia il meno possibile oneroso per le casse dello Stato, proprio nei giorni della tragedia in Abruzzo.