mercoledì 15 aprile 2009
Il Pdl asseconda la Lega sulla data del 21 giugno: bocciato l'election day. Le critiche di Fini: «Inutile spreco di soldi». Il premier: «Fuori luogo. Se non avessimo accettato la Lega avrebbe fatto cadere il governo».
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C'è l'intesa tra Pdl e Lega sulla data del referendum. «C'è accordo su tutti i punti  qualificanti, è stata confermata la solidità della  maggioranza, la consultazione per il referendum si terrà il 21 o il 14 giugno e per scegliere la data ci consulteremo anche con le forze dell'opposizione», ha detto il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto al termine del vertice di ieri con Silvio Berlusconi, i ministri Maroni, Calderoli e Tremonti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Letta e il  capogruppo del Pdl al Senato Gasparri a Palazzo Grazioli. Ma sulla decisione è scoppiata la polemica, a partire dal gelo di Fini, che ha pesantemente criticato la scelta considerandola "un inutile spreco di denaro". Secca e a sorpresa la risposta del premier: "Da Fini sul referendum arrivano polemiche fuori luogo. La Lega avrebbe fatto cadere il governo se fosse passato l'election day". E ancora: "Mi dispiace - aggiunge Berlusconi - che sia stata considerata una debolezza del Presidente del Consiglio e del Pdl, ma abbiamo ceduto alla richiesta di un partito della maggioranza e se non avessimo accettato avrebbe fatto cadere il governo". Una scelta fatta pensando innanzitutto "al bene del Paese". Il premier aggiunge che questa sera il comitato di presidenza del Popolo della Libertà si riunerà alle 19,30 a Palazzo Grazioli per la scelta della data, quasi scontata l'opzione per il 21 giugno. "Bisogna scegliere - dice Berlusconi - una data che sia il meno peggio. Andremo per questo alla data dei ballottaggi. La decisione sarà presa e spero confermata nel comitato di presidenza del Pdl che si riunirà questa sera". Sui 400 milioni di risparmi possibili con l'accorpamento Berlusconi osserva "sono cifre lontanissime da quelle reali e comunque le ridurremo accorpando il referendum ai ballottaggi per le amministrative". L'accordo. «È andata bene, è andata bene... C’è stata una decisione di maggioranza sulla data del referendum... È per domenica 21 giugno». Roberto Calderoli lascia Palazzo Grazioli insieme a Roberto Maroni e racconta l’intesa trovata tra Lega e Pdl. Non ci sarà – ma questo era oramai scontato – un election day il 7 giugno. E allora "mini accorpamento" con i ballottaggi il 21 giugno? Calderoli annuisce e spiega: «Poichè per questa data è necessario un provvedimento legislativo, il ministro dell’Interno è stato incaricato di fare una consultazione tra forze di maggioranza e opposizione perchè ci vuole largo consenso su questa decisione che tocca la materia elettorale». Forse, nonostante l’ottimismo della Lega, c’è ancora qualcosa da capire e da chiarire visto che Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto non danno ancora per decisa la data del 21 giugno. «La maggioranza – spiegano infatti i due capigruppo del Pdl – chiederà una consultazione alle opposizioni per verificare se l’ipotesi migliore per svolgere il referendum sia il 14 o il 21 di giugno». Poi però ammettono: «Se si vuole risparmiare il 21 è l’ipotesi più percorribile». Daniele Capezzone, il portavoce del Pdl, spiega subito il perché: «Governo e maggioranza hanno annunciato una prossima consultazione dell’opposizione sulla data del referendum, fornendo due ipotesi: il 14 o il 21 giugno. Ora, sta all’opposizione tenere un comportamento altrettanto saggio e corretto, e scartare l’ipotesi del 14, che costringerebbe gli italiani ad andare al voto per tre domeniche consecutive. È questa la cosa da evitare».Lo scontro. Nelle ore che seguono divampa lo scontro. È scontata l’indignazione delle opposizioni, ma lo è meno lo sfogo improvviso di Gianfranco Fini: «Sarebbe un peccato se per la paura di pochi il governo rinunciasse a tenere il referendum il 7 giugno spendendo centinaia di milioni che potrebbero essere risparmiati», fa sapere con una nota ufficiale il presidente della Camera, provando a tenere aperta una partita che a tutti sembra chiusa. È comunque un atto d’accusa duro. E – notano in molti ai piani alti di Palazzo Grazioli – «stranamente simile» a quello di Dario Franceschini che accusa Berlusconi di farsi dettare la linea dalla Lega. «Berlusconi – tuona infatti il leader del Pd – ci tiene tanto a far sapere che lui comanda, ma poi ogni volta si piega ai ricatti di Bossi». E ancora: «Gli italiani devono sapere che pagheranno inutilmente centinaia di milioni di euro in un momento in cui tutte le risorse del Paese servirebbero all’emergenza in Abruzzo e a fronteggiare la crisi economica». L’opposizione però carica a testa bassa e Di Pietro è sempre in prima fila. «È una scelta non accettabile né nel merito né nel metodo», attacca il leader dell’Idv. «È uno spreco di soldi fine a se stesso, una doppia spesa utile a Berlusconi soltanto per comprare - nel senso più corruttivo del termine - il consenso della Lega per gli accordi elettorali in corso». Reazioni? Berlusconi, almeno fino a tarda sera, evita di replicare a Fini che invece incassa il plauso dei referendari e della Finocchiaro.È comunque uno scontro duro. Tra maggioranza e opposizione e anche all’interno della stessa maggioranza. Calderoli prova a minimizzare certo che il rischio election day oramai è scongiurato: «Non parlerei di una vittoria della Lega, ma di rispetto della Costituzione per individuare una data che sarà il 21, se ci sarà condivisione sul provvedimento legislativo necessario, o diversamente andrà a cadere naturalmente sul 14». Gasparri (da subito si era speso per salvaguardare la coesione della maggioranza) però allarga il rapporto Pdl-Carroccio e avverte la Lega: «Rispetti il programma. Su sicurezza e immigrazione il Pdl non prende lezioni... E non ci può essere una negoziazione costante» sul programma».
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