martedì 2 febbraio 2010
I petrolieri italiani denunciano che, con il calo dei consumi e delle esportazioni, è possibile la chiusura di 4 o 5 impianti. Si tratta di un quarto di quelli attivi in Italia. A peggiorare la situazione la concorrenza, in particolare del Medio Oriente e di Cina e India, dove gli operatori non hanno grossi vincoli ambientali
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Si apre un altro fronte per il sempre più incerto mondo del lavoro. I petrolieri italiani denunciano che, con il calo dei consumi e delle esportazioni, è possibile "la chiusura di 4 o 5 raffinerie, che sono di troppo". Si tratta di un quarto delle 16 raffinerie oggi attive in Italia. Diventano così a rischio ulteriori 7.000-7.500 posti di lavoro. È un nuovo allarme che si aggiunge ai casi di Termini Imerese, Alcoa, Eutelia, per ultimo a quello di Gioia Tauro dove ieri 8 addetti del porto sono saliti per protesta su una delle 22 gru. E che arriva mentre l’Europa, in un rapporto della Commissione Ue, evidenzia per la prima volta tutti i limiti della strategia di Lisbona, che con i suoi obiettivi "non vincolanti" nulla ha potuto contro l’impatto di una recessione che ha già mandato in fumo più di 7 milioni di posti di lavoro nell’Unione nel 2009/10.A raggelare i lavoratori è stato il presidente dell'Unione Pasquale De Vita, ricordando che la raffinazione nazionale ha già subito una forte contrazione delle lavorazioni, tornate sui livelli del 1995 dopo aver perso per strada 15 milioni di tonnellate negli ultimi 5 anni. Ma c’è un altro fattore che condiziona pesantemente: anche in questo settore sta crescendo fortemente la concorrenza, in particolare del Medio Oriente e di Cina e India dove gli operatori "non hanno grossi vincoli ambientali" e, per di più, possono contare su una rete di sussidi. Il quadro potrebbe peggiorare ancora con le norme del cosiddetto "20-20-20", vale a dire il taglio delle emissioni del 20% e l’aumento dell’efficienza energetica sempre del 20% entro il 2020: "Se saranno applicate, perderemmo un’altra decina di tonnellate arrivando a poco più di 60 tonnellate" lavorate, è la previsione del presidente dell’Up. I numeri "neri" del settore sono poi completati dalle perdite (oltre un miliardo) registrate nel 2009 dalle compagnie sul downstream (raffinazione e distribuzione).
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