«Non è possibile conciliare Vangelo e ’ndrangheta. Il mafioso deve sapere che è automaticamente fuori dalla Chiesa. È lui che coi suoi comportamenti si è messo fuori. Certo le porte sono sempre aperte, ma se c’è una vera conversione, con fatti concreti». Le nette parole di don Pino Demasi risuonano lo scorso 24 agosto sul sagrato della chiesa di San Rocco di Gioiosa Ionica. C’è tanta gente ad ascoltare. C’è grande attenzione. L’occasione è uno degli incontri sulla legalità che il parroco don Giuseppe Campisano, in collaborazione con “Libera Locride”, ha affiancato alle tradizionali celebrazioni religiose per la festa di San Rocco. E che alla ’ndrangheta hanno dato molto fastidio. Quella sera oltre a don Pino, vicario della diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, ci sono anche il prefetto di Vibo Valentia, Luisa Latella e il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma. «Qual’è il rapporto tra ’ndrangheta e religione? Non ci dovrebbe essere nessun rapporto – sottolinea il magistrato –. Il principale comandamento dice 'ama il prossimo tuo come te stesso'. La ’ndrangheta che uccide toglie la pace, vive in modo parassitario, è tutt’altro che cristiana. Non ha valori ma solo disvalori ». Ma attenzione, avverte il prefetto, «le feste religiose nei nostri paesi non sono solo feste religiose. Le tradizioni buone sono prevaricate da quelle meno buone. E la ’ndrangheta pretende di essere lei a gestirle». Parole di chi negli ultimi due anni ha dovuto affrontare, in stretta collaborazione col vescovo di Mileto, Luigi Renzo, la vicenda della festa dell’Affruntata a Sant’Onofrio, tra minacce e attentati ma, per fortuna, anche «un’importante reazione della popolazione ». Ma perché la ’ndrangheta è interessata alla feste? «Il primo motivo – spiega il magistrato – sono i soldi: fuochi d’artificio, luminarie, attrazioni musicali... Poi c’è un motivo simbolico. La ’ndrangheta cerca di infiltrarsi nella società, nel tessuto buono. Per questo pretende che le processioni passino sotto le case dei boss. Qui si fermano, quasi con atto di riverenza. Per dire che quella casa è molto più importante di quella del sindaco o della caserma dei carabinieri, davanti alle quali, infatti, la processione non si ferma ». Parole dure quelle del pm Di Palma che si rivolge direttamente alla platea. «Queste cose le so io e le sapete anche voi. Non sono storielle, sono la verità». Anche don Pino parla diretto alla gente. «Come cristiano mi devo infuriare se il mafioso vuole dettare legge anche in materia di religione. Vogliamo davvero voltare pagina o rimanere succubi? E accettare che le feste siano strumento di consenso per il mafioso? Sia chiaro, non vogliamo togliere le feste religiose ma che queste tornino ad appartenere alla comunità ecclesiale, ad essere momento di fede. Ci dobbiamo riprendere qualcosa che ci appartiene. Se siamo Chiesa, se ci crediamo, lo dobbiamo fare. Non possiamo permettere a nessuno di utilizzarle. Dove si decide delle feste non sono le case dei mafiosi ma la comunità ecclesiale». Ma serve un lavoro di squadra per voltare davvero pagina. «Stiamo lavorando in stretta collaborazione con la Chiesa – sottolinea il prefetto Latella –. Questo è molto importante. Lavorare insieme per dare forza alla comunità in un territorio dove c’è subcultura, omertà, paura. Che fa restare tutto come prima. Ma la paura si supera se non si è da soli. Bisogna però iniziare. Gli altri poi verranno, per dare della nostra terra un’altra immagine». Ma segni di speranza ci sono: «Appena 10 anni fa discorsi come quelli di stasera non si facevano. Una piazza così era inimmaginabile. È un primo passo. Se voi ci aiutate noi possiamo aiutare meglio voi. In questo la Chiesa ha un ruolo fondamentale ».