giovedì 1 settembre 2011
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«Non è possibile conciliare Van­gelo e ’ndrangheta. Il mafio­so deve sapere che è automa­ticamente fuori dalla Chiesa. È lui che coi suoi comportamenti si è messo fuori. Cer­to le porte sono sempre aperte, ma se c’è u­na vera conversione, con fatti concreti». Le nette parole di don Pino Demasi risuonano lo scorso 24 agosto sul sagrato della chiesa di San Rocco di Gioiosa Ionica. C’è tanta gente ad ascoltare. C’è grande attenzione. L’occasione è uno degli incontri sulla lega­lità che il parroco don Giuseppe Campisa­no, in collaborazione con “Libera Locride”, ha affiancato alle tradizionali celebrazioni religiose per la festa di San Rocco. E che al­la ’ndrangheta hanno dato molto fastidio. Quella sera oltre a don Pino, vicario della diocesi di Oppido-Pal­mi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, ci sono anche il prefetto di Vibo Valentia, Luisa Latella e il sostitu­to procuratore della Dda di Reggio Calabria, Ro­berto Di Palma. «Qual’è il rapporto tra ’ndran­gheta e religione? Non ci dovrebbe essere nessun rapporto – sottoli­nea il magistrato –. Il principale comanda­mento dice 'ama il prossimo tuo come te stesso'. La ’ndrangheta che uccide toglie la pace, vive in modo parassitario, è tutt’altro che cristiana. Non ha valori ma solo disva­lori ». Ma attenzione, avverte il prefetto, «le feste religiose nei nostri paesi non sono so­lo feste religiose. Le tradizioni buone sono prevaricate da quelle meno buone. E la ’n­drangheta pretende di essere lei a gestirle». Parole di chi negli ultimi due anni ha dovu­to affrontare, in stretta collaborazione col vescovo di Mileto, Luigi Renzo, la vicenda della festa dell’Affruntata a Sant’Onofrio, tra minacce e attentati ma, per fortuna, anche «un’importante reazione della popolazio­ne ». Ma perché la ’ndrangheta è interessata alla feste? «Il primo motivo – spiega il magistra­to – sono i soldi: fuochi d’artificio, lumina­rie, attrazioni musicali... Poi c’è un motivo simbolico. La ’ndrangheta cerca di infiltrar­si nella società, nel tessuto buono. Per que­sto pretende che le processioni passino sot­to le case dei boss. Qui si fermano, quasi con atto di riverenza. Per dire che quella casa è molto più importante di quella del sindaco o della caserma dei carabinieri, davanti al­le quali, infatti, la processione non si fer­ma ». Parole dure quelle del pm Di Palma che si rivolge direttamente alla platea. «Que­ste cose le so io e le sapete anche voi. Non sono storielle, sono la verità». Anche don Pino parla diretto alla gente. «Co­me cristiano mi devo infuriare se il mafio­so vuole dettare legge anche in materia di religione. Vogliamo davvero voltare pagina o rimanere succubi? E accettare che le feste siano strumento di consenso per il mafio­so? Sia chiaro, non vogliamo togliere le fe­ste religiose ma che queste tornino ad ap­partenere alla comunità ecclesiale, ad essere momento di fede. Ci dobbiamo riprendere qualcosa che ci appar­tiene. Se siamo Chiesa, se ci crediamo, lo dob­biamo fare. Non possia­mo permettere a nessu­no di utilizzarle. Dove si decide delle feste non sono le case dei mafiosi ma la comu­nità ecclesiale». Ma serve un lavoro di squadra per voltare davvero pagina. «Stiamo lavorando in stret­ta collaborazione con la Chiesa – sottolinea il prefetto Latella –. Questo è molto impor­tante. Lavorare insieme per dare forza alla comunità in un territorio dove c’è subcul­tura, omertà, paura. Che fa restare tutto co­me prima. Ma la paura si supera se non si è da soli. Bisogna però iniziare. Gli altri poi verranno, per dare della nostra terra un’al­tra immagine». Ma segni di speranza ci so­no: «Appena 10 anni fa discorsi come quel­li di stasera non si facevano. Una piazza co­sì era inimmaginabile. È un primo passo. Se voi ci aiutate noi possiamo aiutare meglio voi. In questo la Chiesa ha un ruolo fonda­mentale ».
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