Un impatto ridotto, per circa due miliardi, dei tagli agli enti locali, che originariamente erano circa 9, spalmati sui vari livelli per due anni. Sarebbero soprattutto i Comuni a beneficiare di questi tagli "tagliati" (le prime stime parlano di circa 800 milioni). Restano salvi i piccoli Comuni, che però avranno l’obbligo di accorpare i servizi essenziali. Le Province, invece, dovrebbero saltare del tutto. Condizionale d’obbligo non solo perché è noto quanto la Lega sia contraria a questa soluzione che pure ieri ha sottoscritto nel vertice. Per il disegno costituzionale che mette in campo la decisione, infatti, si profila un cammino lungo e dall’esito incerto, essendo necessaria una maggioranza di due terzi in Parlamento e un doppio passaggio in Camera e Senato, e con il Pd che si è sempre detto contrario all’abolizione potrebbe scattare il più classico gioco delle tre carte. L’unico effetto immediato e certo dovrebbe essere - al contrario - l’eliminazione dell’abolizione per 29 enti sotto i 300mila abitanti, che era già stata messo nero su bianco nella manovra del governo.I due miliardi verrebbero recuperati per metà dalla Robin Tax, e per metà con una partecipazione maggiore (dal 50 per 100 al cento per cento) alle somme recuperate all’evasione fiscale. Misure, peraltro parziali, su cui gli enti locali vogliono ora verderci chiaro. E così, dopo una giornata di grande mobilitazione - con la Lega a fare la spola fra vertice di Arcore e la protesta di piazza di sindaci e amministratori - i commenti sono ispirati alla prudenza, con una mano alla calcolatrice e l’altra alla cornetta del telefono per capirci qualcosa in più. La sintesi - interlocutoria - la fa Osvaldo Napoli, che parla di «timido riconoscimento per la situazione finanziaria degli enti locali», e nella doppia veste di presidente vicario dell’Anci e vicecapogruppo del Pdl alla Camera misura le parole: «In attesa di conoscere i dettagli dell’accordo il giudizio è più negativo che positivo».«Senza accordo ci sarà rottura», aveva assicurato Roberto Maroni raggiungendo la delegazione dei sindaci riuniti in prefettura a Milano in forma bipartisan (presenti - fra gli altri - Gianni Alemanno, Giuliano Pisapia, Piero Fassino e lo stesso Napoli) e annunciando il possibile dimezzamento dei tagli. L’intervento di Maroni sembrava in realtà finalizzato, più che altro, a preparare la base degli amministratori, che conta numerosi amministratori della Lega, su un esito che non sarebbe stato quello auspicato. Prudente, a tarda sera, anche Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese e presidente di Anci Lombardia (vicinissimo a Maroni) una delle anime di questa protesta: «Come Anci nazionale ci riuniremo domani - oggi, ndr - per una valutazione nel merito, per capire meglio quali sono le nuove misure e l’incidenza sui vari livelli degli enti locali. Per ora - taglia corto Fontana - l’unica cosa positiva che registriamo è che la nostra protesta sia stata presa in considerazione». Il più duro, peraltro, era stato in mattinata un altro sindaco dell’area di maggioranza come Alemanno: «Bisogna rivederla profondamente, anzi azzerarla, altrimenti non siamo nelle condizioni di sostenibilità economica per garantire i servizi ai cittadini, Finché non ci saranno risposte serie, la mobilitazione continua», aveva avvertito il sindaco di Roma.Alla fine anche la Lega rinuncia a toni trionfalistici su una battaglia che pure si era intestata, con Maroni che aveva indotto prima Calderoli e poi anche il senatur a farla propria. «Si è trattato dell’ennesima dimostrazione di debolezza di Bossi, che ha dovuto abbandonare le autonomie al loro destino», sentenzia il responsabile enti locali del Pd Davide Zoggia. Sta di fatto che ieri Bossi ha preferito abbandonare villa San Martino per un’uscita secondaria lasciando a Maurizio Gasparri il compito di salutare col pollice alzato, come altre volte aveva fatto lui.