Un mistero destinato a rimanere tale.
Nessun colpevole, per la Procura di Roma, dietro le sparizioni
di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Con la richiesta di
archiviazione del procedimento si chiude una lunga vicenda
giudiziaria durata 32 anni densi di colpi di scena, depistaggi e
le più disparate piste investigative. La più credibile, per la
quale però i pm romani non sono riusciti a giungere ad elementi
incontrovertibili, è quella che vede coinvolti personaggi legati
alla Banda della Magliana. "Le indagini compiute - si legge
nelle 84 pagine del provvedimento con cui i pm sollecitano
l'archiviazione - non hanno permesso di pervenire ad un
risultato certo in merito al coinvolgimento di Enrico De Pedis,
Renatino, e di soggetti a lui vicini e gravitanti nell'ambiente
della criminalità romana" legata al gruppo che insanguinò la
Capitale tra gli anni '70 e gli '80.
La decisione dei pm ha scatenato la reazione dei familiari di
Emanuela e Mirella. Pietro Orlandi parla apertamente di
"comportamento della Procura meschino come quello del Vaticano:
non hanno neanche avuto il coraggio di avvertire le famiglie, lo
abbiamo saputo dalla stampa. Non ho parole - dice- per esprimere
la delusione provata. Ma se pensano che questo possa fermarci si
sbagliano di grosso". Nessuna volontà di fermarsi, quindi,
ribadita anche dagli altri componenti delle due famiglie che
hanno lanciato un nuovo appello. "Chiunque sia a conoscenza di
qualsiasi genere di informazioni - dicono in una nota congiunta
- all'interno del Vaticano e non, abbia il coraggio di parlare.
Se la procura può archiviare un caso, noi, i familiari, non
possiamo archiviare le nostre Emanuela e Mirella".
Il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e i sostituti di
piazzale Clodio sono arrivati alla conclusione che non ci sono
elementi tali per poter chiedere il processo nei confronti di
sei persone: il monsignor Pietro Vergari, ex rettore della
basilica di Sant'Apollinare, Sergio Virtù, autista di Enrico De
Pedis, Angelo Cassani, detto "Ciletto", Gianfranco Cerboni,
detto "Giggetto", e Sabrina Minardi. Nel registro degli
indagati, di cui ora si chiede l'archiviazione, era finito anche
Marco Accetti, ex fotografo accreditatosi come testimone di
quanto avvenuto nel giugno del 1983 ma ritenuto dagli inquirenti
autore di una ricostruzione non credibile, di una "sceneggiatura
scaturita dallo studio attento di atti e informazioni acquisiti
negli anni". Nei suoi confronti la procura contesta ora i reati
di calunnia e autocalunnia. Un impianto complessivo che però ha
lasciato strascichi tra gli inquirenti al punto che il
procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo "non condividendo alcuni
aspetti" nella richiesta di non procedere nei confronti degli
indagati "ha richiesto la revoca dell'assegnazione del
procedimento".
Nella richiesta di archiviazione di 84 pagine i magistrati
capitolini ricostruiscono la vicenda elencando minuziosamente
tutta l'attività istruttoria svolta negli ultimi venti anni.
Si tratta, spiega Pignatone in una nota, di "indagini
estremamente complesse e approfondite condotte dalla squadra
mobile di Roma". Indagini - prosegue - protrattesi "per
moltissimi anni dopo una prima fase definita con sentenza di
proscioglimento degli imputati emessa dal giudice istruttore di
Roma il 19 dicembre 1997". "All'esito delle indagini che hanno
approfondito tutte le ipotesi investigative - afferma ancora il
capo della procura -man mano prospettatesi, sulla base delle
dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di numerosi
testimoni, delle risultanze di inchieste giornalistiche e anche
di spunti offerti da scritti anonimi e fonti fiduciarie, non
sono emersi elementi idonei a richiedere il rinvio a giudizio di
alcuno degli indagati".