lunedì 2 dicembre 2013
​Il capo dello Stato ha inviato una dura lettera al presidente della Regione Toscana. La Procura ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo dopo l'incendio in cui ieri mattina hanno perso la vita 7 operai cinesi. L'unico identificato per ora è un immigrato irregolare. Il ministro Kyenge: grave la violazione della dignità umana dei lavoratori. Mercoledì lutto cittadino.
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«Qui è il Far West e noi di fronte a tutto ciò ci sentiamo impotenti. In quattro anni abbiamo sequestrato 600 capannoni. Eppure, a cosa è servito? Lottiamo con organici studiati per la Prato di quarant’anni fa. Nonostante gli sforzi i controlli sono insufficienti». È lo sfogo del procuratore della Repubblica di Prato, Piero Tony il giorno dopo la tragedia di via Toscana al Macrolotto Uno, periferia di Prato, dove hanno perso la vita 7 operai cinesi morti carbonizzati a seguito di un incendio divampato nella ditta "Teresa Moda" gestita da cittadini orientali. Un atto di accusa pesante, che chiarisce come tutti fossero al corrente delle condizioni di illegalità diffusa presente nel distretto parallelo cinese, ma che al contempo evidenzia anche la mancanza di risorse adeguate per arginare il fenomeno.Parole, quelle di Tony, cui è seguita in serata, una dichiarazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in risposta al governatore della Toscana, Enrico Rossi, chiedendo un deciso intervento dello Stato. «Al di là di ogni polemica o di una pur obiettiva ricognizione delle cause che hanno reso possibile il determinarsi e il permanere di fenomeni abnormi – ha scritto il capo dello Stato al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi –, sollecito un insieme di interventi concertati al livello nazionale, regionale e locale per far emergere da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento, senza porle irrimediabilmente in crisi, realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano». Il presidente ha indirizzato ai rappresentanti della comunità cinese e alla città i «sentimenti di umana dolorosa partecipazione per le vittime», auspicando anche «un esame sollecito e complessivo della situazione».Ieri, dopo 24 ore di lavoro, le ricerche dei dispersi da parte dei vigili del fuoco si sono fermate. Il bilancio è di 7 morti e 2 feriti gravi, ancora ricoverati in Rianimazione nell’ospedale di Prato. L’attività degli inquirenti si è subito concentrata sui motivi che hanno scatenato l’incendio. E secondo la prima ricostruzione della Procura, tutto è scaturito da una cucina di fortuna, realizzata abusivamente sotto il soppalco dove si trovavano i dormitori, anch’essi non in regola. Le fiamme hanno raggiunto velocemente i loculi, cogliendo gli operai nel sonno. E infine sono arrivate fino all’ingresso della struttura, dando il tempo solo a pochi cinesi di mettersi in salvo. La Procura ipotizza i reati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, omissione dolosa di misure di sicurezza e sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Le uniche due persone finora identificate, fra quelle rimaste coinvolte nel rogo, sono infatti entrambe irregolari. Per le vittime e i feriti persistono le difficoltà di identificazione, tanto che la polizia parla di «reticenza dei testimoni cinesi».Intanto, Prato si mobilita per ricordare le vittime. La comunità cinese ha organizzato una fiaccolata per oggi alle 19, davanti al luogo della tragedia, invitando a partecipare anche gli italiani. Il Comune ha indetto un giorno di lutto cittadino per domani. E domenica prossima alle 16.30, la diocesi ha deciso di promuovere una veglia di preghiera nella parrocchia dell’Ascensione al Pino.Il giorno dopo la tragedia non mancano inoltre le reazioni politiche. Il sindaco di Prato, Roberto Cenni, non ha risparmiato critiche alle autorità diplomatiche cinesi chiedendo che «siano responsabili del comportamento dei propri connazionali e che non si lavino le mani sulla questione clandestini». Il governatore toscano Rossi ha scritto una lettera al premier Enrico Letta, chiedendo un incontro alla presenza anche del ministro Alfano. «Lo Stato deve intervenire con un piano nazionale – scrive –. Nel distretto delle confezioni cinesi non esistono regole e tutto si basa sullo sfruttamento brutale dei lavoratori».
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