giovedì 4 giugno 2015
Borghi, alla guida dell'associazione dei Comuni montani: «Il progetto di riforma segue criteri solo ragioneristici che dissiperanno un patrimonio storico. E non rispetta le direttive europee».
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«Il Parlamento ha approvato la razionalizzazione del servizio postale ma “sulla base delle indicazioni dell’Ue”. Troverei inspiegabile - politicamente ma soprattutto giuridicamente inspiegabile - se l’Agcom autorizzasse un piano industriale che prescinde dalle direttive europee». Enrico Borghi è il granitico sindaco di Vogogna (Verbania). Ha la parlantina chiara dei montanari. Insomma, un osso duro per l’ingegner Francesco Caio; già, perché il deputato Borghi non usa giri di parole: «Basta leggere i giornali per sapere che palazzo Chigi non condivide la rivoluzione che vuole realizzare a Poste Italiane». È un renziano e guida l’Uncem, l’associazione dei comuni montani: saranno flagellati dalla chiusura degli uffici e dalla consegna della corrispondenza a giorni alterni previste dal piano industriale della società postale.Caio vuole privatizzare le Poste e al governo fanno gola quei miliardi: si fa peccato a pensare che alla fine vi metterete d’accordo?Guardi, a me pare che non esistano spazi di accordo perché il piano di ristrutturazione di Poste Italiane segue criteri ragioneristici che dissiperanno il patrimonio dell’istituzione postale. Si pensa di tagliare per risanare, invece alla fine resti con un moncone improduttivo, un pacchetto di servizi finanziari senza una rete di vendita efficiente e un mercato che si fida di te. Quel piano va fermato e ripensato.Il Parlamento, però, ha dato il suo via libera con la legge di Stabilità.Vero, ma condizionandolo al rispetto delle direttive europee. Che non mi sembrano rispettate.L’Agcom non sembra così preoccupata.Spero che l’Autorità delle comunicazioni ricordi di essere un’autorità di controllo e non un organo di ratifica.Il Mef preme.La politica non è ragioneria.Ma - ribatte chi vuole la privatizzazione - senza quei soldi i conti pubblici non tornano.Non dev’essere una scusa per far passare operazioni sbagliate che non li faranno tornare comunque.Sbagliate come la consegna a giorni alterni della corrispondenza?Esatto. Il recapito della corrispondenza è un servizio in perdita? Può darsi. Ma è anche l’unico servizio che mantiene vivo il rapporto quotidiano con il cittadino. Non per nulla, per coprire i costi “in perdita” ogni anno nella legge di Stabilità vi è un apposito stanziamento che viene destinato proprio al “servizio universale”. Ciò detto, se mi abbono a un quotidiano è per leggerlo nel giorno in cui esce. Il venerdì nel bar di Vogogna mi aspetto di trovare la Gazzetta dello Sport di venerdì, non voglio mica leggerla il martedì successivo... Lei crede che Caio non lo sappia?Credo che si sia prodotto un cortocircuito per effetto del quale si taglia senza entrare nel merito. La cosa più grave è il rifiuto dell’amministratore delegato di Poste Italiane di ridiscutere le singole misure in base alle esigenze reali del Paese, studiando con i rappresentanti dei territori delle soluzioni alternative. Se la società non è interessata a gestire questo servizio raggiunga degli accordi con chi, sul territorio, può garantirlo. Si tratta di applicare il principio di sussidiarietà che esiste solo sulla carta. Se non c’è l’ufficio postale, c’è il centro polifunzionale del Comune. Se non c’è il postino, c’è la cooperativa locale. Non ho difficoltà ad ammettere che per creare una simile rete sussidiaria occorrerebbe rimuovere degli ostacoli che non dipendono solo da Caio, ma anche dal sindacato.E funzionerebbe?A qualche chilometro da casa mia c’è la Svizzera. Le poste elvetiche hanno un servizio di recapito della corrispondenza che utilizza dei piccoli pullman gialli: arrivano fino all’ultimo paesino dell’ultima vallata e insieme alle lettere e ai giornali, d’inverno portano anche gli sciatori, fanno cioè servizio di linea. Caio e il sindacato sono pronti a discuterne? Oppure si vuole preservare il monopolio tagliando quel che non conviene e condannando il 25% di italiani a non avere un servizio non perché non sia possibile, non perché non si possa stare sul mercato, ma perché erogando quel servizio non è più possibile garantire da un lato i profitti e dall’altro i privilegi che si garantivano in passato. Di questo passo, i ragionieri incapaci di pensare a soluzioni nuove disegneranno un’Italia di serie A e una di serie B, una servita dallo Stato e una in cui lo Stato è assente e impedisce a chiunque altro di surrogarlo. E dopo le poste verranno le scuole, i trasporti...
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