«Mox et frumentis labor additus, ut mala culmos esset robigo segnisque horreret in arvis Carduus» cantava Virgilio nelle Georgiche, raccontando della ruggine che divorava gli steli del frumento e finiva col pungere persino l’ozioso cardo. Le infestanti delle piante fanno paura. Meno dei virus e molto meno di una volta, perché nella grande distribuzione organizzata, ancorché normalmente si pensi l’esatto contrario, la disponibilità di cibo è funzione del prezzo.
Noi occidentali benestanti reputiamo che le carestie appartengano ad altri emisferi: in realtà, anche laggiù la differenza tra vivere e morire è solo questione di portafoglio e la distanza del problema è solo una questione di capacità di spesa. Eppure, anche oggi e anche in Italia un fungo invisibile e un minuscolo insetto sono in grado di fermare la civiltà, perché, a ogni latitudine, siamo quel che siamo anche perché abbiamo imparato a programmare i nostri raccolti.
Per contro, imbevuti nei nostri miti digitali e nelle rassicuranti certezze del marketing, non ci rendiamo conto che basta una muffa per mettere in crisi l’agricoltura o cancellare un ecosistema rimasto nel suo (precario) equilibrio per millenni. Esattamente quello che potrebbe avvenire al Parco del Ticino, tra Piemonte e Lombardia, per colpa di un coleottero d’importazione. "Popillia japonica": un nome grazioso, che fa sorridere chi non lo conosce. Esattamente com’è avvenuto – ricordate? – per la Xylella fastidiosa, che adesso flagella degli uliveti pugliesi.
Una delle costanti delle crisi agroambientali scatenate da "invasioni aliene", cioè da microrganismi e insetti che penetrano in un ecosistema e lo sconvolgono, è che in genere chi viene aggredito non conosce il suo nemico. La ruggine del grano, ad esempio, viene combattuta da millenni ma i più ignorano che venga provocata da un fungo, da non confondere quindi con le numerose fitopatologie prodotte da batteri. Il disinteresse generale per questi fenomeni dipende forse dallo scarsissimo appeal di cui godono muffe e insetti diversamente da tutti gli altri esseri viventi in grado di comunicare con noi e certamente anche dal fatto che di rado le epidemie che colpiscono il regno vegetale hanno conseguenze sanitarie dirette e facilmente comprensibili: non è facilissimo spiegare ai consumatori che le aflatossine di cui è contaminato tanto latte provengono da micotossine che a loro volta vengono prodotte da un fungo inoculato nella pannocchia di mais dalla piralide (rieccoti l’odioso insetto...). È più facile spiegarlo così: attenti perché le aflatossine sono cancerogene.
Torniamo alla "Popillia" che turba i sonni degli amministratori del Parco del Ticino e delle due amministrazioni regionali coinvolte in quest’emergenza. L’aggettivo "japonica" denuncia l’origine asiatica di questo maggiolino estremamente prolifico e di bocca buona: aggredisce il fogliame di alberi, vivai, prati e cereali. Risparmia solo le radici, delle quali si nutrono le sue larve.
Il focolaio è una delle aree agricole più importanti del Paese: tra l’altro, vi si producono cereali per il consumo umano e per la zootecnia, oltre che vini rinomati, fiori e frutta. Il flagello scende dal cielo e non solo perché è un coleottero: «Già negli anni Sessanta – ci racconta Luciano Suss – i miei professori ipotizzavano che questo scarabeide arrivasse in aereo, monitorandolo nella zona di Malpensa. Non fu trovato, ma era stato segnalato in movimento dalle isole Azzorre».
Suss è uno dei più autorevoli entomologi italiani e non sembra affatto sorpreso per l’infestazione provocata dal goloso scarabeide. La considera l’ennesimo regalo della globalizzazione. Statistiche alla mano: «Fino al 1945 sono state rinvenute non più di dieci specie aliene di insetti sul territorio italiano, mentre nel periodo che va dalla fine della guerra agli anni Sessanta erano già una trentina e in seguito se ne sono contate oltre duecento». Ogni giorno il mondo è solcato da sei milioni di cargo e da duemila navi: non vi è da stupirsi, dunque, per quest’invasione di specie nuove che accelera malamente i tempi della selezione darwiniana.
La storia delle malattie che colpiscono le piante ci ricorda ogni giorno – scrive Maria Lodovica Gullino in "Spore" (Daniela Piazza Editore, 2014) – quanto fragile possa essere, ancora oggi, il nostro sistema produttivo, quanto importante fosse l’agricoltura in passato e quanto lo sia ancora oggi. Alcuni episodi, poi, ci fanno capire, se mai ce ne fosse bisogno, come la storia si ripeta. Le navi che nel XIX secolo trasportavano gli irlandesi in Nord America per sfuggire alla carestia causata dalla comparsa della peronospora della patata assomigliano alle carrette del mare odierne che portano nel nostro Paese tanti extra-comunitari che sfuggono la fame. Carestia e fame, ieri come oggi, costringono popolazioni intere a migrare».
Anche Gullino, che dirige Agroinnova – centro di ricerca dell’Università di Torino –, studia gli alieni, ma nel suo caso si tratta di funghi. Che non si limitano a compromettere un raccolto di frumento: sono capaci di rovinare la vita a interi popoli, come la peronospora, che distrusse completamente le coltivazioni di patata nel 1845. Gli irlandesi dovettero emigrare in massa. «I patogeni che colpiscono le piante, ci insegna la storia, non hanno confini e non hanno pietà. Colpiscono Paesi ricchi e poveri, piante importanti e piante di scarsa rilevanza. Viaggiano, grazie alle loro spore, e la velocità con cui si spostano da un Paese all’altro è cambiata insieme con l’evoluzione dei mezzi di trasporto. Il passato – sottolinea la studiosa – ci insegna anche che i patogeni possono diventare veri e propri strumenti di guerra, utilizzati per affamare il nemico: sono le cosiddette guerre biologiche». Argomenti ricorrenti e che infatti sono ricorsi, alimentando ipotesi fantasiose, anche nel caso Xylella.
Secondo l’assessore lombardo all’agricoltura Gianni Fava la "Popillia" rappresenta «un’altra grave problematica fitosanitaria», paragonabile per gravità alla crisi salentina. E batte cassa: «Il piano di contrasto proposto da Piemonte e Lombardia prevedeva anche un co-finanziamento nazionale, ma tale proposta non è mai stata presa in considerazione né approfondita». Finora le amministrazioni locali hanno dovuto fare da sole.
La denuncia di Fava è obiettivamente imbarazzante: mentre all’Expo si discute, nelle campagne tutt’intorno alla fiera è in corso l’invasione aliena. La Lombardia teme particolarmente per le aziende florovivaistiche: se l’Europa dovesse prendere atto dell’incapacità degli italiani di fermare la "Popillia" potrebbe imporre il blocco della commercializzazione di piante e fiori delle zone colpite. L’assessore, in una nota, ha già messo le mani avanti: «Non siamo in grado di escludere il rischio di diffusione della "Popillia" nel resto dell’Ue».
Fermare il vorace maggiolino significa spendere qualche milione di euro in Ddt. Questa sarebbe la soluzione più spiccia. Ma è la meno convincente: «Non ricorrerei a prodotti cloro-organici perché persistono nell’ambiente e hanno uno spettro di azione troppo ampio – spiega infatti Suss –, meglio gli insetticidi granulari, che si distribuiscono insieme al concime. Segnalo anche il "Bacillus popilliae", attivo sulle larve, che è selettivo e a basso impatto ambientale. Sicuramente il problema non va solo combattuto ma eradicato perché la "Popillia" può arrivare a defogliare chilometri quadrati di vegetazione e a riprodursi di anno in anno con una rapidità impressionante. È in fase espansiva, non si può indugiare».
Il tempismo è decisivo: nella seconda metà dell’800 un altro insetto proveniente dall’Asia e chiamato "Pseudoalaucaspis pentagona" distrusse i gelsi e la bachicoltura lombarda sarebbe sparita se non fosse stata introdotta in tempo la "Encarsia berlesei", un altro insetto alieno che si nutre di cocciniglie.