Approvata l’agenda elettorale. Da sinistra, Enrico Letta, Roberto Gualtieri, Roberto Speranza e Nicola Zingaretti - Fotogramma
C’è una montagna da scalare e ci sono solo 40 giorni per compiere l’impresa titanica di riprendere il centrodestra. I sondaggi impietosi vedono Meloni e alleati in testa con un divario apparentemente irraggiungibile, ma il segretario del Pd non molla. L’obiettivo è recuperare (sia pure in piena estate) gli astensionisti, ma non in maniera generica, piuttosto mirando a quegli elettori storici del centrosinistra che da qualche anno hanno abbandonato le urne o si sono diretti verso il M5s e, a volte, sulla Lega. Ebbene, i tempi sono maturi – secondo il leader del Nazareno – per tornare a parlare al popolo di sinistra. E allora ecco un programma in chiave economico-sociale con tanto di «diritti civili», che mira a riprendersi l’elettorato storico, che piace a tutto il "parlamentino" dem.
Letta "carica" i suoi con una frase dell’amico scomparso David Sassoli: «La speranza siamo noi, quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie»: sono «le sue ultime parole», dice il segretario alla Direzione, vale a dire quello che «tiene insieme tutto quello che siamo, che pensiamo e che facciamo». Ed è così che introduce le 34 pagine di programma con cui i dem intendono portare avanti la sfida.
«Dobbiamo giocare la partita in tutti gli angoli, usare linguaggi nuovi, parlare di persone. A loro dobbiamo raccontare la nostra proposta», incalza. Ma nel Pd a fare male sono spesso le correnti interne, che già danno segnali di nervosismo, come proiettate verso la sconfitta. Al Nazareno non sono piaciute le polemiche tra Bonaccini e Bettini.
Diversa la situazione dei capicorrente, che invece si sono allineati, almeno per ora, anche perché c’è da combattere per la formazione delle liste, che saranno presentate nella Direzione di domani. Un’impresa non da poco, con i giovani che spuntano la candidatura della loro leader Caterina Cerroni, dopo aver lamentato la poca considerazione nelle caselle dimezzate del nuovo Parlamento. E con la rivolta dell’Emilia Romagna – dove si concentrano i seggi sicuri – che ha chiesto di non vedersi catapultare i nomi dei big a scapito dei dem locali. Qui ieri hanno conquistato un seggio la vicepresidente di Libera Enza Rando e Oiudad Bakkali, figlia di immigrati, nata in Marocco e da poco cittadina italiana.
Un lavoro di cesello, insomma, che per Letta è quanto mai importante, per la sua impresa. Qui, oggi «ho sentito uno spirito unitario importante, è da lì che passa tutto. Se ci dovessero vedere divisi o non convinti tutto sarebbe inutile», spiega alla Direzione, ma «io vedo che questo spirito unitario c’è ovunque».
Il nemico da battere è già in pista da tempo e per Letta si chiama Giorgia Meloni. Il segretario non si è lasciato convincere dal suo video in tre lingue e per replicare usa lo stesso format. «Il Partito democratico italiano, il partito che dirigo da quando sono tornato a fare attivamente politica nel mio Paese, l’Italia, è un partito profondamente europeista. L’Europa é al centro del nostro lavoro, delle nostre idee e delle nostre prospettive», spiega in francese, inglese e spagnolo in una "video-replica". «Questa destra ha persino votato contro il Trattato del Quirinale, il trattato sull’intesa italo-francese che ha messo la relazione tra Francia e Italia allo stesso livello della relazione tra Francia e Germania». E «questi sono fatti», continua, «e i fatti dicono che al Parlamento europeo questa destra non ha mai sostenuto il Next Generation EU. Non ha mai supportato la creazione di un’Europa della salute e le scelte in favore di una maggiore solidarietà verso i paesi più in difficoltà come l’Italia», ma piuttosto si è allineata a Orban e Putin. Perciò, avverte, «ora va fermata».