Campana dell’ultimo miglio per la trattativa sulla riforma del lavoro. Mario Monti convoca per martedì prossimo a Palazzo Chigi il vertice plenario tra le parti sociali e mostra ottimismo: il confronto è «in dirittura d’arrivo», afferma il premier, che definisce la riforma una «priorità per la crescita» e conferma una conclusione del negoziato «entro marzo, auspicabilmente con un pieno accordo». Dal Quirinale Giorgio Napolitano segue da vicino il dossier e non fa mancare la sua rete di protezione al governo.Ma ieri sulla strada del traguardo Rete Imprese Italia ha alzato le barricate. Dopo la schiarita di mercoledì tra i sindacati e il ministro del Lavoro Elsa Fornero, ora è il network di artigiani e commercianti a minacciare di non firmare l’accordo. Se sarà confermato l’aumento della contribuzione previsto dal governo le associazioni potrebbero disdettare i contratti di lavoro. «Una possibilità che stiamo valutando», hanno avvertito, riaccendendo il clima del confronto. Non a caso Fornero ha parlato di «fase delicata» pur confermando che l’accordo è vicino. Rete Imprese contesta la bozza governativa denunciando un aggravio di costi da 1,2 miliardi l’anno, una «cifra insostenibile» per le Pmi. E mette nel mirino misure-chiave della riforma: come l’allargamento degli ammortizzatori sociali alle fasce di lavoratori oggi non protette attraverso una maggiore contribuzione da parte delle imprese minori; o il contrasto alla precarietà del lavoro basato sui contributi extra per i contratti a termine (rapporto di lavoro molto diffuso nel commercio e artigianato). Oggi le Pmi pagano una contribuzione dello 0,4%, nel nuovo schema salirebbero all’1,3% sui contratti standard e al 2,7% su quelli termine. Con un aggravio sul costo del lavoro fino a 2,3 punti percentuali. Rete imprese chiede misure compensative e ricorda i versamenti in largo attivo di negozi e botteghe in altri settori, dall’Inail alle indennità di malattia. Sollecita poi la riduzione dell’extracosto sui contratti a termine (un’ipotesi è che l’aggravio scatti solo dal secondo contratto). La protesta sta trovando orecchie attente nel mondo politico. Una delegazione della Rete ieri ha incontrato rappresentanti di Pd, Udc e Pdl riscontrando «ampie convergenze» sulle proprie istanze. Nella maggioranza non mancano comunque le frizioni, anche questo potrà pesare sul finale di negoziato. È un problema per il governo. La coperta è corta e qualcuno rischia di restare scoperto. I sindacati lo sanno: ieri Susanna Camusso (leader Cgil) ha parlato di confronto «sulle montagne russe» e Luigi Angeletti (Uil) di «rischio che la trattativa possa deragliare». Inoltre le stesse confederazioni non sottovalutano i possibili effetti di disincentivo alle assunzioni in conseguenza di un rincaro dei costi delle imprese, così come temono la minaccia di disdetta dei contratti. L’altro fronte aperto è quello dell’articolo 18. La direzione di marcia emersa dopo l’incontro sindacati-Fornero è quello di intervenire con una normativa meno rigida sui licenziamenti individuali dovuti a ragioni economiche e con una maggiore possibilità di scegliere tra indennizzo e reintegro del lavoratore licenziato da parte dei giudici. A differenza che su contratti e ammortizzatori il governo non ha però ancora consegnato una proposta scritta. Dopo aver lanciato segnali di apertura ieri la Cgil – il sindacato più refrattario a cambiamenti su questo tema – ha riunito la segreteria e convocato il direttivo per il 21 marzo (all’indomani del vertice con Monti) per valutare le proposte del governo. In campo c’è anche Confindustria che invece chiede modifiche più ampie all’articolo 18. Emma Marcegalia parlerà sabato a Milano al convegno degli industriali dove è invitato anche Mario Monti.