Non fate corse a settembre per le domande di emersione, invitano dal ministero dell’Interno. A correre, però, stavolta saranno i vertici del Viminale, che per la regolarizzazione di colf e badanti non vogliono impiegare un anno come nel 2002. Per questo rafforzeranno l’organico negli Sportelli unici per l’immigrazione: insieme alle 500mila domande di emersione attese, infatti, dovrebbero arrivare anche 500 nuovi lavoratori (interinali) per far fronte alla mole di carte che ricadranno sulle Prefetture con la sanatoria. Ieri intanto è stata pubblicata anche la circolare esplicativa. Ma gli ulteriori dettagli alla legge forse non basteranno a sciogliere i dubbi dei datori di lavoro, preoccupati di risparmiare e rimanere comunque nella legalità, e quelli degli irregolari ansiosi di avere il permesso di soggiorno per essere liberi di tornare, magari dopo anni, a casa. Un atto, ha spiegato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, orientato «alla regolarizzazione selettiva dei rapporti di lavoro di colf e badanti che accompagna la nuova disciplina repressiva della clandestinità». In Italia secondo il Viminale sono circa 500mila le badanti in nero; recenti stime Ocse parlano poi di 750mila immigrati irregolari, che secondo la Caritas arrivano invece a toccare il milione. La sanatoria che cerca di mettere ordine nell’incalcolabile mondo del lavoro nero è chiara: nessuna doppia corsia, innanzitutto. Oltre a non esserci alcun limite di quota (per la richiesta informatizzata si avrà tempo dal 1° al 30 settembre e tutte saranno ammesse se presentate entro quella data) e nella speranza che 'l’ansia da click day' non faccia impazzire i terminali, chi ha già fatto domanda di regolarizzazione nel 2007/2008 non avrà un passaggio preferenziale. Anzi la circolare precisa che la presentazione di dichiarazione di emersione «determina la rinuncia alla richiesta di nulla osta» già consegnata in precedenza. In più le domande verranno trasferite agli Sportelli unici dell’immigrazione di competenza «nel rispetto dell’ordine cronologico di ricezione». È vero però che, per accelerare i tempi tecnici, nei casi in cui le Questure abbiano dato già il nulla osta al datore di lavoro nell’operazione precedente, il parere positivo sarà valido anche per questa domanda di emersione: in parole povere, tutte quelle richieste già accettate, che non si erano concretizzate in visti d’ingresso per gli immigrati e in conseguenti 'contratti di soggiorno', potrebbero essere analizzate più velocemente. Conclusione del discorso: se la domanda arriverà prima, l’immigrato in quel caso avrà prima il permesso di soggiorno. Per districarsi nella difficile trafila burocratica, serve un passo indietro. In base alla Bossi-Fini, lo straniero clandestino, se in possesso di una 'promessa di lavoro', faceva richiesta di regolarizzazione e attendeva il parere positivo delle Questure che consegnavano il nulla osta al datore di lavoro. 'Fingendo' che l’immigrato non fosse già sul nostro territorio nazionale, la documentazione veniva inviata al Consolato italiano del Paese di provenienza del lavoratore, che consegnava all’immigrato il visto di ingresso per l’Italia. Così lo straniero, dopo essere rientrato nel proprio Paese, poteva tornare in Italia per stipulare ufficialmente il rapporto di lavoro ed ottenere il permesso di soggiorno. «I tempi di questa procedura – ha precisato Pino Gulia, responsabile immigrazione del Patronato Acli – variano da uno a tre mesi, ma spesso i nulla osta non si trasformano in visti perché gli immigrati non tornano in patria per ritirare il documento: per paura, per mancanza di soldi, oppure perché fermati alle frontiere si vedono bloccare, come clandestini, la procedura di regolarizzazione». Tutto questo con la sanatoria non accadrà più, almeno per colf e badanti. Infatti, siccome lo straniero è già sul territorio nazionale, non servirà più l’invio del nulla osta al ministero degli Esteri per il rilascio del visto. «Questo significa – ha sottolineato Raffaele Miele, consulente Caritas e responsabile della rivista Immigrazione – un risparmio in termini temporali, ma anche di costi per l’immigrato che non è più costretto a lasciare il lavoro, con enormi disagi per la famiglia italiana da lui servita, per tornare nel proprio Paese a ritirare il documento». Infine una nota potenzialmente amara: i 500 euro richiesti, formalmente ai datori di lavoro, per sanare l’irregolarità contributiva, nel caso di esito negativo della procedura non verranno restituiti.