L'anno scorso 7 persone al giorno sono state condannate a morte ed il boia, nel mondo, è entrato in azione almeno 607 volte. Ma se il numero delle esecuzioni, rispetto al 2013, è in calo del 22%, aumenta di quasi un terzo il numero di verdetti alla pena capitale (+28%). Un dato
allarmante, denuncia il rapporto di Amnesty International che
punta il dito sul futile ricorso alla pena di morte che i
governi stanno facendo anche per contrastare il terrorismo.
L'anno scorso "gli stati hanno fatto ricorso alla pena di
morte nel futile tentativo di contrastare criminalità,
terrorismo e instabilità interna". Come nel caso del Pakistan
che ha ripreso le esecuzioni dopo l'attacco dei talebani contro
una scuola di Peshawar e nel solo dicembre scorso ha messo a
morte sette persone mentre il governo ha annunciato centinaia di
esecuzioni per reati di "terrorismo".
Il numero "dei paesi che hanno usato la pena di morte" per
combattere il terrorismo e la criminalità è in aumento: si
tratta di un dato "davvero vergognoso", basato sulla "falsa
teoria della deterrenza", sottolinea Salil Shetty, segretario
generale di Amnesty International.
Il numero delle condanne a morte registrate nel 2014 supera
di quasi 500 quello del 2013, soprattutto - spiega - a causa di
Egitto e Nigeria, che hanno emesso condanne di massa nel
contesto del conflitto interno e dell'instabilità politica che
hanno caratterizzato i due paesi.
Le esecuzioni registrate sono state 607, il 22 per cento in
meno del 2013 (con l'esclusione della Cina, che da sola esegue
più condanne a morte che il resto del mondo) ed hanno avuto
luogo in 22 paesi, lo stesso numero del 2013. Ma la metà
rispetto al 1995.
Ancora una volta, il primato del boia spetta alla Cina che ha
messo a morte più persone del resto del mondo complessivamente
considerato. Amnesty International ritiene che in quel paese
ogni anno siano emesse ed eseguite migliaia di condanne a morte,
il cui numero è però impossibile da determinare a causa del
segreto di stato. Seguono l'Iran (289 esecuzioni rese note dalle
autorità e almeno 454 non riconosciute), l'Arabia Saudita
(almeno 90 esecuzioni), l'Iraq (almeno 61) e gli Stati Uniti
d'America (35).
Decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione
sono stati i metodi d'esecuzione impiegati nel 2014.
E tra i reati che hanno portato al patibolo anche quelli -
stigmatizza Amnesty - anche atti che non dovrebbero essere
neanche considerati come "adulterio", "blasfemia" e
"stregoneria". In molti paesi sono state usate vaghe definizioni
di "reati" politici per mettere a morte reali o presunti
dissidenti.
E se gli Usa hanno lievemente ridotto il numero delle
esecuzioni (scese da 39 del 2013 a 35 l'anno scorso) l'area del
Pacifico ha proseguito a essere l'unica zona del mondo
virtualmente libera dalla pena di morte. In Europa il boia
'lavorà invece solo in Bielorussia dove nel 2014 almeno tre
esecuzioni hanno posto fine a un periodo di assenza di
esecuzioni durato 24 mesi.
Nell'analisi sull'uso della pena di morte nel 2014, si
trovano però anche buone notizie: il numero delle esecuzioni
registrate è stato inferiore a quello del 2013 e diversi paesi -
rileva Amnesty - hanno intrapreso passi avanti verso
l'abolizione della pena capitale.