Da Roma a Torino per sostenere il Sì alla Tav. È il primo passo della segreteria del Pd targata Nicola Zingaretti. Una vittoria non ancora ufficiale (a sera era scrutinato il 93% dei collegi) e che dovrà essere formalizzata dall’assemblea. Ma sicura, dopo che domenica sera i due contendenti Maurizio Martina e Roberto Giachetti hanno riconosciuto il successo del governatore del Lazio. I dati forniti ieri sera dalla Commissione congresso del Pd, lo davano a circa il 66% su un milione e 600mila votanti contro il 22% di Martina e il 12% di Giachetti.
Come prima mossa, dunque, il segretario entrante dribbla i primi timidi segnali di dialogo che arrivano da alcuni esponenti del M5s e va a sostenere la battaglia del collega piemontese Sergio Chiamparino. Quell’alta velocità che i pentastellati vedono come il fumo negli occhi. «I bandi non si interrompano: sarebbe criminale pensare di perdere centinaia di milioni di investimenti e migliaia di posti di lavoro», ha detto Zingaretti al termine dell’incontro con Chiamparino. Ce n’è per tutto il governo, accusato di aver fatto diventare l’Italia «ultima in Europa», dunque anche per l’altro alleato, quella Lega di Salvini che - «radicalmente diversa» dalla Lega precedente - va «contro gli interessi del Nord e quelli produttivi».
A largo del Nazareno lo scettro passa dunque a un esponente ben visto da chi - come il governatore pugliese Michele Emiliano - chiede discontinuità netta rispetto al recente passato. Il mantra è, comunque, quello dell’unità del partito. Lo intonano i due sconfitti. Anche Matteo Renzi parla di «vittoria bella e netta», pur tornando a chiedere di smetterla con il fuoco amico.
«Non sarò mai un capo, ma il leader di una comunità», sono le parole dette da Zingaretti domenica sera sul palco del comitato elettorale al Circo Massimo, dove è arrivato in maniche di camicia. C’era una folla ad attenderlo e chiamarlo a gran voce, e c’erano i big, Dario Franceschini tra tutti. «Ha vinto l’Italia», ha detto il neosegretario tra l’assedio delle telecamere. Ha poi ribadito l’impegno per un «nuovo partito», baricentro di «nuove alleanze» con «le porte spalancate» ai «molti che oggi sono tornati». Il primo banco di prova alle Europee del 26 maggio.
I nodi sono la presentazione del simbolo e l’allargamento dell’alleanza ad altri soggetti. L’elezione di Zingaretti apre spiragli a sinistra, soprattutto tra gli ex dem di Leu. «Siamo pronti a fare la nostra parte. L’unità ci convince se si volta pagina», dice il coordinatore di Mdp, Roberto Speranza, che invita a tornare indietro su alcune riforme renziane come il Jobs Act. Mentre altre componenti della sinistra e i Verdi non hanno gradito l’appoggio alla Tav. All’opposto Benedetto Della Vedova (+Europa) chiede a Zingaretti di non fare passi indietro su lavoro e politiche industriali.
Il puzzle è difficile da comporre. In prospettiva più lunga c’è poi il dialogo con M5s. A Zingaretti arrivano gli auguri istituzionali del premier Giuseppe Conte (via telefono) e di Roberto Fico, presidente della Camera. C’è chi li interpreta come un segnale politico e Fico precisa di averli espressi perché «doverosi» e perché «più partecipazione c’è, meglio è per il Paese». Anche il deputato Giorgio Trizzino si lancia: «Zingaretti è una persona con cui si potrà parlare, già "sperimentata" dal punto di vista della trasparenza». Poi frena: nessun elogio, solo la sottolineatura di un cambiamento. Ma, ribadisce uno dei registi della mozione Zingaretti, Goffredo Bettini, guai per il Pd «a dare in questo momento una qualsiasi stampella alla crisi» del M5s. Piuttosto va recuperato «un elettorato disperso nell’astensione o pentito di aver votato i 5Stelle». Con loro «niente giochini», chiude l’ex premier Gentiloni.
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