Il ministro delle Finanze della Germania, Christian Lindner (a destra), con il cancelliere tedesco Olaf Scholz - REUTERS
Accordo vicinissimo sulla riforma del Patto di stabilità Ue. Alla vigilia della riunione straordinaria in videoconferenza dell’Ecofin di oggi pomeriggio, ieri il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, e il collega tedesco alle Finanze, Christian Lindner, riuniti a Parigi apparivano allineati e fiduciosi. E, a sentire i due, anche l’Italia è della partita. «Stasera (ieri a Parigi, ndr) raggiungeremo l'accordo al 100% con la Germania», ha assicurato Le Maire. È chiaro ormai che Berlino (che in sostanza ha stravinto, imponendo una raffica di rigidi criteri non previsti dalla proposta iniziale della Commissione) accetta la richiesta di Italia e Francia di un periodo di transizione tra il 2025 e il 2027 per tener conto del peso sul debito degli alti tassi Bce. Lo si era già capito all’Ecofin dell’8 dicembre. «L’Italia – riassume un’alta fonte Ue – ritiene che le sue principali preoccupazioni sul peso degli interessi sia recepita nel testo». «Abbiamo già avuto un colloquio oggi (ieri, ndr) con il nostro collega italiano Giorgetti – ha confermato Lindner - e sono quindi fiducioso che si possa raggiungere un accordo». «Abbiamo lavorato molto – gli ha fatto eco Le Maire - con Giorgetti. Siamo sulla stessa linea». Parole che sembrano smentire lo scetticismo dei giorni di Giancarlo Giorgetti e della premier Giorgia Meloni. «La trattativa non è ancora chiusa», è l’unico commento trapelato invece ieri dal Tesoro
La questione del periodo di transizione aveva fatto storcere il naso agli ultra-falchi (Austria, Olanda e i nordici). Rispetto al testo di compromesso emerso dopo l’8 dicembre, la presidenza spagnola ha fatto ritocchi per facilitare l’intesa. «Abbiamo ora – dicono le fonti – un testo concordato. Il messaggio rimane invariato».
La discussione di oggi dalle 16, spiegano a Bruxelles, si incentrerà sugli ultimi due aspetti cruciali. Il primo riguarda la velocità con cui ogni Stato dovrà convergere verso l’»àncora» del deficit, e cioè la «distanza di sicurezza» rispetto alla soglia del 3% del Pil. Distanza ormai cristallizzata all’1% per gli Stati con meno del 90% del Pil di debito (dunque massimo un deficit del 2%) e 1,5% per quelli al di sopra (tra cui Italia e Francia, dunque massimo un deficit dell’1,5%). L’ultimo testo prevede una riduzione strutturale dello 0,3% su 4 anni (o 0,2% nel caso di un’estensione del piano a 7 anni). Altro punto sono le soglie massime di deviazione dal percorso di riduzione, oltre le quali scatta la procedura. Al momento si parla di massimo lo 0,5% del Pil l’anno o lo 0,75% cumulativo. Si vedrà, ieri l’aria non era di rottura. «Arrivati a questo punto – dicono diplomatici Ue – la calibrazione finale di queste cifre non dovrebbe impedire l’accordo». Tra gli altri punti voluti da Berlino e già passati, l’obbligo di una riduzione media annua del debito dell’1% per i Paesi con indebitamento sopra il 90% del Pil e dello 0,5% per quelli tra 60% e 90%.
Morta definitivamente l’ipotesi di uno scorporo degli investimenti strategici dal deficit chiesto dall’Italia. «Se n’è parlato all’inizio – spiegano a Bruxelles – ma l’idea ha varie debolezze. La prima è la difficoltà di identificare con precisione quali investimenti scorporare. La seconda è quella di stabilire in quale misura detrarli dal computo. Molti Stati membri (i “falchi”, ndr) hanno del resto insistito che il debito è debito». Tuttavia, si è trovato il modo per dare spazio agli investimenti. Il primo è nella possibilità (già prevista nella proposta della Commissione) di allungare il periodo di aggiustamento da 4 a 7 anni a fronte di impegni per riforme e investimenti (nella fase iniziale basteranno gli impegni del Pnrr). La seconda è la considerazione data al costo degli interessi. Infine, le spese per la difesa vengono considerate “fattore rilevante” nella valutazione di una possibile procedura.