giovedì 5 maggio 2011
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In tre quarti del pianeta, come Niger, Chad, Eritrea, Yemen, Afghanistan, “nascere” vuol dire molto spesso “morire”. Per i bambini e per le loro madri. Infatti la sopravvivenza e la salute materno-infantile restano, anno dopo anno, fattori di rischio in molti Paesi subsahariani e asiatici, dove ogni giorno mille donne e 2mila bambini muoiono per complicanze legate al parto. Nel complesso, circa 350mila mamme e 800 mila bambini all’anno: quasi tutte morti evitabili con semplici misure di base. L’indagine sconfortante della fragile maternità di milioni di donne nel mondo lo ha tracciato ieri a Roma Save the Children, in occasione anche del lancio della nuova campagna contro la mortalità infantile, con il 12° Rapporto sullo stato delle madri nel mondo. «Per 48 milioni di neomamme sul pianeta dare alla luce un figlio è un salto nel buio – ha sottolineato il direttore generale dell’organizzazione, Valerio Neri – e per due milioni di loro è un momento vissuto in totale solitudine, senza neppure un familiare». Dati questi, a cui vanno aggiunti quei piccoli che perdono la vita entro il primo mese di vita, per un totale di oltre 3 milioni di morti. Stimati in 8.1 milioni ogni 12 mesi i decessi infantili, cioè quelli che non sopraggiungono entro il quinto anno di vita. Le cause sono malattie come polmonite, diarrea, malaria: tutte patologie curabili e dunque evitabili. Quelli raccolti in 164 paesi, sottolinea Save The Children, sono peraltro dati sottostimati poiché il report non contempla le cifre di molte zone del mondo dove dati e scenari è impossibile averne. Certo è che «se tutti i parti avvenissero in presenza di ostetriche o di personale sanitario con competenze analoghe – ha sottolineato Neri –, ogni anno si potrebbe salvare la vita di 1,3 milioni di neonati e di decine di migliaia di donne». Allo stesso modo, milioni di morti infantili dovute a malattie potrebbero essere evitate «con semplici ed economiche misure – precisato il direttore dell’organizzazione –, dall’allattamento esclusivo al seno, ai vaccini, all’utilizzo tempestivo di un antibiotico o sali reidratanti».Misure che tuttavia nei 10 paesi dove la condizione materno-infantile è la peggiore del mondo, come Afghanistan, Niger, Guinea Bissau, Yemen, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Mali, Sudan, Repubblica Centro Africana, sono una vera chimera. A distanza siderale si pongono invece Norvegia, Australia, Islanda, Svezia, Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Belgio, Paesi Bassi e Francia, considerati i paesi con il livello più alto di assistenza alla maternità. Maglia grigia per l’Italia che figura solo al 21° posto. Una situazione planetaria giudicata come un affronto non solo contro la vita da Mariapia Garavaglia, senatrice Pd e componente della Commissione per la tutela dei diritti umani, intervenuta all’incontro. «Una vita – ha affermato – da tutelare sempre e dovunque», anche perché trascurarla va contro «democrazia e sviluppo, perché lì dove ci sono donne e madri che stano bene, c’è operosità e salvaguardia di quel pilastro di che è la famiglia, luogo da cui si irradia la civiltà».
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