Dimezzare sì, cancellare no. È la decisione presa ieri, poco dopo le 19, dalla maggioranza dei deputati della Camera, che con 372 voti a favore, 97 no e 17 astenuti, ha approvato il primo articolo della proposta di legge sulla riforma dei partiti. Grazie a tale norma, che riduce del 50 per cento i contributi del finanziamento pubblico in favore di partiti e movimenti politici, i contributi a carico dello Stato passeranno da 182 milioni di euro a 91 milioni, riallineandosi con la media europea. Contro una tale formulazione dell’articolo 1 hanno votato Lega, Radicali, Noi Sud e Idv, che poco prima si erano espressi a favore di emendamenti che puntavano ad abrogare completamente l’erogazione di fondi pubblici, sotto forma di rimborsi o in qualsiasi altra veste, ai partiti stessi. L’Assemblea ha respinto gli emendamenti presentati in tal senso da una parte del Pdl e dalla Lega, coi voti contrari di Pd, Udc, gran parte del Pdl, mentre i deputati di Fli si sono astenuti. Salomonicamente, il governo non ha preso parte alla decisione, rimettendosi alla volontà dell’Aula.Nel dettaglio, l’articolo 1 del testo (messo a punto dai relatori Gianclaudio Bressa, Pd, e Peppino Calderisi, Pdl) prevede che i contributi siano ridotti a 91 milioni di euro l’anno, il 70% dei quali (63 milioni e 700mila) come rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e per l’attività politica, mentre il restante 30% (27 milioni e 300mila) a titolo di cofinanziamento. Inoltre, ai partiti che non garantiranno le quote rosa in lista, verrà tolto un ulteriore 5%.Nell’ABC si saluta il colpo di scure come un fatto positivo. Spiega il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: «Avevo detto dimezzamento e ci siamo arrivati. Siamo riusciti ad arrivare a un risultato concreto e vero», anche se «per noi questa misura vuol dire anche tagliarci un braccio». Sulla stessa linea, il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, fiducioso che la decisione dell’Aula possa servire a riguadagnare la fiducia dei cittadini: «Il modo migliore per recuperare il terreno perduto e rispondere all’ultima chiamata che il successo di Grillo e del Movimento 5 Stelle ha rivolto alle forze politiche è fare cose concrete, come pagare i debiti della Pa verso le imprese, la legge anticorruzione o dimezzare il finanziamento pubblico ai partiti. Proprio ciò che stanno facendo governo e maggioranza».Soddisfatto anche il Pdl, ad eccezione di quei deputati favorevoli ad una totale cancellazione, come il vicepresidente dei deputati Isabella Bertolini, che si sfoga: «Col voto di oggi i partiti si condannano alla sconfitta. La Camera ha bocciato gli emendamenti che avevo presentato insieme ad altri colleghi per abrogare completamente il finanziamento. Era importante dare un segnale forte, peccato». Decisamente più affilate le critiche di Lega e Italia dei Valori, che hanno visto bocciare i propri emendamenti. Di voto «scandaloso» parla Roberto Maroni, protagonista di un battibecco in aula con Roberto Giachetti del Pd. «C’è chi ha preso doppie razioni. La Lega farebbe meglio a tacere», ha urlato quest’ultimo, «Bravo, bravo», ha replicato Maroni, annunciando che oggi
la Padania pubblicherà i nomi di chi ha bocciato l’emendamento leghista.Intanto, un altro segnale di
austerity arriva dall’ufficio di presidenza della Camera, con la
Spending review avviata da Gianfranco Fini, che si ripromette di ottenere, nei prossimi tre anni, il taglio di 150 milioni di euro dal bilancio delle spese di Montecitorio.