Nel 2020 il governo italiano ha autorizzato la vendita di armamenti per quasi 4 miliardi di euro, Egitto il primo acquirente - (Foto: Rete italiana Pace e disarmo)
Giù le mani dalla 185. Trentatrè organizzazioni della società civile scendono in difesa della legge che regola l’export di armi italiane, da tempo sottoposta a tentativi di indebolirla. L’Italia, è la richiesta, deve continuare a vietare la vendita di armamenti a paesi coinvolti in guerre o violazioni dei diritti umani. Nella stessa direzione anche l’altro appello – lanciato da Missione Oggi, Nigrizia, Campagna Banche armate e Pax Christi – per uno stop immediato alle esportazioni di armi a Israele.
«Difendiamo la legge 185: la vita e i diritti umani valgono più del profitto di pochi». A sottoscrivere l’appello in difesa della legge sull’export di armi sono 33 organizzazioni tra cui Amnesty, Arci, Beati i costruttori di Pace, Campagna banche armate, Cgil, Cipax, Fcei, Fondazione Finanza Etica, Greenpeace, Archivio Disarmo, Focolari, Opal, Oxfam, Pax Christi Italia, Rete Pace e Disarmo, Save the Children. I promotori denunciano un’ «azione in corso per smantellare norme e procedure che regolamentano le esportazioni di armi», in particolare la «legge 185/90 e il Trattato ATT dell’Onu sul commercio di armi».
«Think tank e opinionisti della difesa - sostiene l’appello - insieme a parlamentari ed esponenti militari premono per rivedere le norme» per favorire «la competitività dell’industria militare, enfatizzata come “strategica” per il “rilancio” dell’economia nazionale». «Argomentazioni pretestuose» visto che «il comparto armiero vale meno dell’1% del Pil, delle esportazioni nazionali e del tasso occupazionale». Dunque un «settore marginale per l’economia italiana, che invece assorbe un flusso sovradimensionato di fondi pubblici». L’“interesse nazionale” insomma «utilizzato solo per mascherare interessi privatistici».
Ricordando «recenti sentenze della magistratura che pongono le norme sulla vendita di armi al di sopra di qualsiasi ipotesi di ritorno economico», i sottoscrittori chiedono al Governo di adoperarsi per un «pieno rispetto delle norme» stabilite dalla 185 e da Trattati internazionali. A scatenare le pressioni del comparto militare-industriale – sostiene la società civile – sarebbe stata «la revoca di sei licenze per forniture di bombe e missili ad Arabia Saudita e Emirati Arabi decisa dal Governo Conte II».
Riviste missionarie, Pax Christi e Campagna Banche armate: «Stop armi italiane a Israele». «C’è solo un modo per mettere fine all’escalation delle violenze» tra Israele e i palestinesi: «Riconoscere – come da anni sostiene la Santa Sede – al popolo palestinese il suo Stato». Le riviste missionarie, Pax Christi e la Campagna Banche armate chiedono al governo italiano «di sospendere immediatamente tutte forniture di armamenti a Israele e di revocare tutte le licenze in corso» allargando l’iniziativa «a tutta l’Ue».
Fino al 2011 i governi italiani avevano seguito «una politica rigorosa sulle forniture di armi a Israele», con autorizzazioni all’esportazione in quel ventennio solo per decine di migliaia di euro all’anno. La svolta nel 2012, «quando il governo Monti, a seguito degli accordi presi dal precedente governo Berlusconi, definì il contratto per la vendita a Israele di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 della Alenia Aermacchi, del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo S.p.A.), nella versione da combattimento multi-ruolo». Nell’ultimo quinquennio 2016-2020 poi «l’Italia ha autorizzato esportazioni a Israele per oltre 90 milioni di euro tra armi semiautomatiche, bombe e missili, strumenti per il tiro e apparecchi per l’addestramento militare», oltre a 12 elicotteri AW119Kx