Paola Mascaro, presidente di Valore D - Ernesto de Angelis / Valore D
«Vorrei che le donne si prendessero un minuto, nella giornata dell’8 marzo, per sentire la propria forza ed energia, ed esserne orgogliose perché è anche da questa consapevolezza che nasce la spinta verso l’inclusione, che spetta a istituzioni e imprese mettere in campo». Forza ed energia che non mancano a Paola Mascaro, presidente di Valore D, associazione di 230 imprese che da 10 anni promuove l’inclusione, top manager di Avio Aero e a capo del tavolo del G20 Empower per l’avanzamento femminile nell’economia e nella società. Nella plenaria del 23 febbraio, i 20 Paesi più ricchi del mondo hanno fissato alcuni dati aggregati: le donne in posizioni manageriali sono il 31%, con una risicata crescita del 3.3% in dieci anni; nei consigli di amministrazione il 18%; il gender gap (divario di genere in quattro aree: salute, educazione, economia e politica) è ancorato al 26%.
Presidente Mascaro: come si posiziona l’Italia tra i Paesi del G20?
Male sulla percentuale di don- ne manager: 23% contro un dato medio del 31%. Bene sui Cda: noi siamo al 37%, grazie al meccanismo delle quote di genere. E molto male sul gender gap: siamo 10 punti percentuali sotto la media.
Molte donne nei Cda, poche nei ruoli manageriali: si può dire che le quote rosa non stanno funzionando come si sarebbe sperato?
I dati ci dicono che le donne nei board sono soprattutto indipendenti, prive di ruoli esecutivi. Gli amministratori delegati donna sono il 5%. Dunque, dov’è il vero potere? L’avanzamento femminile in azienda è un tema che riguarda tutti, non solo le donne. Io spero che la pressione da parte degli investitori e degli analisti, attenti anche agli indicatori di equilibrio di genere, spingano a velocizzare i tempi. E poi sarebbero necessarie politiche pubbliche di incentivi alle imprese virtuose, sulla formazione digitale, ad esempio.
Nel suo primo discorso al Senato, il premier Draghi ha accennato alle quote rosa, sostenendo in sintesi che non sono la panacea di tutti i mali. Cosa ne pensa?
In via di principio Draghi ha ragione: l’inclusione non si riduce al rispetto delle quote. Ma prima risolviamo tutto il resto – riequilibro del gap, sistema di welfare... – e poi possiamo toglierle. Le quote sono un mezzo, non un fine; sono servite a forzare una cultura patriarcale. Ma è ovvio che c’è molto di più.
La pandemia non ha aiutato le donne. Qual è l’aspetto che la preoccupa di più?
La pandemia ha acuito una situazione cronica. Mi preoccupa la pressione dei carichi di cura, associata alla cultura predominante. E poi la perdita massiccia dei posti di lavoro, purtroppo legata al tema delle competenze. Penso che il rientro nel mercato del lavoro sarà molto faticoso per le donne più fragili, impegnate nelle fasce professionali più colpite come i servizi alle persone e al turismo. E poi mi preoccupa la perdita dell’indipendenza economica finanziaria, che porta con sé uno sbilanciamento delle relazioni e dei rapporti in famiglia.
C’è un problema di leadership femminile? Quali sono gli ostacoli?
Da un lato c’è il tema dei carichi familiari da riequilibrare. Tempo fa cercavo un collega che lavora in Germania e mi è stato risposto che non c’era perché 'mercoledì è il suo turno, è in permesso parentale'. In Italia è molto raro. Il secondo aspetto riguarda la cultura femminile: ci vuole tempo perché le donne prendano le misure e si muovano con disinvoltura nell’organizzazione aziendale. Chiedere, saper negoziare, alzare la mano, essere assertive. Se non abbiamo l’80 per cento dei requisiti non ci candidiamo a una posizione, ai nostri colleghi uomini basta avere il 40% e si buttano. Ma dobbiamo essere clementi con noi stesse: dobbiamo imparare anche a fare massa critica.
Cosa mi dice della politica?
Dico che sarebbe bello che la politica desse segnali e diventasse esemplare. Ma la politica italiana è lo specchio del Paese.