mercoledì 2 marzo 2011

 

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Seicentomila volti senza ancora un nome. Seicentomila ragazzini nel mondo, che compaiono a viso scoperto in foto e filmati mentre i loro aguzzini (a volte anche loro impunemente a volto scoperto) abusano di loro. «Il nostro grande sforzo è quello di individuare le vittime nel mondo e portarne in salvo il più possibile – chiarisce subito Antonio Apruzzese, da un anno direttore del servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni –. Dal 2006 sono stati ritrovati almeno 600 bambini». Inoltre in Italia è stata attivata una black list, una lista nera aggiornata quotidianamente, «lo strumento potente che il legislatore italiano con voto bipartisan ci ha dato e che tutta Europa ci invidia. Nella lotta alla pedopornografia siamo all’avanguardia».A che cosa serve la black list? Quali i risultati tangibili?Siamo riusciti finalmente a frenare molto il proliferare dei siti con contenuti pedopornografici. Una volta allestita questa lista, infatti, la legge ci ha dato la possibilità molto forte di imporre a tutti i provider che operano in Italia – Vodafone, Telecom, eccetera – di non consentire l’accesso dall’Italia a tali siti.Facciamo un esempio?Se un sito pedoporno viene allestito su un server italiano la procedura è semplice: chiediamo al giudice un sequestro e oscuriamo il sito. Ma la maggior parte dei siti, per sfuggire a questo rischio, vengono invece allestiti in altri Paesi del mondo, con i quali i rapporti di collaborazione sono fragili o inesistenti, e allora scatta il meccanismo della black list: è vero che all’estero non possiamo operare il sequestro, ma rendiamo comunque impossibile l’accesso dall’Italia grazie al blocco fatto dai provider. Certo, con percorsi tortuosi il criminale incallito ci arriva comunque, ma quando si è connesso ha firmato la sua condanna, perché noi individuiamo chi ha scaricato il materiale pedopornografico.Non c’è rischio di incappare senza volere in questi siti?I ragazzi oggi scambiano di continuo film o canzoni, per cui càpita che si imbattano anche in brutti siti. Ma quando il percorso per scaricarli è, appunto, tortuoso, la volontarietà è chiara e il dolo evidente.Come aggiornate la black list?Alle nostre indagini si aggiunge il massiccio apporto delle onlus e delle associazioni a tutela dell’infanzia, ma anche le segnalazioni dei cittadini.Quali sono le nuove frontiere del crimine?Oggi esistono due tipi di realtà. Da una parte le chat e i social network hanno accelerato molto i processi comunicativi, finendo col preparare un substrato ideale per contatti sospetti. Questo è il mondo di oggi, e l’attenzione che dobbiamo prestare per i giovani è massima, perché sono loro gli oggetti dell’adescamento e purtroppo questi contatti sono molto sfuggenti. Ma poi c’è un’attività criminale propria di recentissima ideazione: nell’ultimo anno abbiamo scoperto che le comunità di pedofili nel mondo, per evitare i controlli e i filtri e per mascherare le proprie operazioni, vanno a nascondere i “pacchetti” di materiale pedopornografico nei computer di varie aziende, all’insaputa dei titolari.Può spiegare meglio?È come dire «la droga è nascosta in casa del signor Rossi», il quale però non ne sa nulla. Così i criminali forzano e gestiscono di nascosto una rete, poi dicono «i video e le foto pedopornografiche li trovate nel sito dell’azienda tal dei tali». L’inconsapevole titolare nella sua rete non vede assolutamente nulla. Difficile arginare un crimine tanto vasto.Ma i numeri sono confortanti: dai 39 arresti del 2008, ai 53 del 2009, ai 63 del 2010, la progressione è crescente. Ai livelli di black list, poi, i siti oscurati erano 127 nel 2009, 202 l’anno successivo, con il monitoraggio di 20mila siti l’anno.Dietro a quelle foto e ai video ci sono bambini in carne e ossa, vite straziate da adulti che li violano e rubano loro l’infanzia. Da dove provengono? Sono anche italiani?Normalmente quelle immagini non sono realizzate in Italia, ma nei Paesi più poveri, dove i piccoli sono venduti per denaro. Il nostro principale obiettivo è puntare all’identificazione dei ragazzini e salvarli dalla schiavitù, ritrovandoli e strappandoli dalle mani degli aguzzini. A questo scopo abbiamo allestito un data-base e utilizziamo le tecniche scientifiche più avanzate: il lavoro è complesso ma in alcuni casi abbiamo avuto successo, ad esempio di recente nel caso di una foto sul cui sfondo si riconosceva il campanile di un paese dell’Est europeo. In un caso del genere come agite?Esiste una rete molto collaborativa di Polizia internazionale, con contatti immediati tra le forze dell’ordine di 58 Paesi. Se non arriviamo proprio all’identificazione, almeno puntiamo a una banca dati di tutti i minori sfruttati, il che ci consente di monitorare quante volte lo stesso volto di bambino torna nel mercato del sesso. Sul piano delle immagini digitali, poi, studi avanzatissimi che anche gli Stati Uniti ci copiano permettono di risalire alle macchine fotografiche e alle videocamere utilizzate dai criminali. Infine grazie a criteri antropometrici molto precisi siamo in grado di scomporre i visi al computer e riconoscere i tratti salienti che appartengono a una persona e solo a quella: una sorta di “impronta digitale” dei volti, che non sbaglia mai. In questo modo da giugno a oggi abbiamo individuato e quindi salvato 14 minori, di cui sette in Italia: non posso dire di più perché le indagini sono ancora in corso, ma erano bambini dati in custodia a persone senza scrupoli, magari in palestre o piscine. Il compito duro è avvisare i genitori di un abuso che a volte dura da anni. Per legge siamo autorizzati a indagare sotto copertura, anche infiltrandoci tra i pedofili, e questo ci porta a verificare direttamente le violenze e a venire in contatto con un mondo deteriorato. In particolare le nostre operatrici donne chattano con i pedofili per tendere loro la trappola, e non è facile se non si hanno i nervi saldi, ma anche fingersi pedofilo e scambiarsi particolari agghiaccianti richiede un ausilio psicologico.Esiste anche una produzione italiana di materiale pedopornografico?Purtroppo sì. Siamo testimoni di un fenomeno orrendo che investe la famiglia, la scuola, i formatori, gli allenatori, le persone in generale che hanno la custodia dei bambini. La Chiesa?Il fenomeno non è inesistente, ma molto circoscritto.
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