domenica 8 marzo 2015
​Così parrocchie e associazioni "coinvolgono" i migranti. I tempi d'attesa su diritto d'asilo e documenti consentono "l'impiego" di immigrati in piccoli lavori di utilità sociale.
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Elias ha passato dieci mesi nel Cara di Mineo, in attesa. Perché non c’è altro che possano fare i profughi e richiedenti asilo fino a quando non ottengono i documenti. Un’attesa vuota e spesso snervante. Che Elios, grazie all’aiuto della Comunità di Sant’Egidio di Catania, ha potuto trasformare in qualcosa di diverso. «Tutte le settimane vado a trovare gli anziani alla casa di riposo – racconta –. Passo un po’ di tempo con loro, li ascolto. Poi, la sera, aiuto a portare cibo alle persone che dormono per strada». Ventisei anni, ghanese, Elias fa parte di un gruppo di 60-70 richiedenti asilo che da due anni collaborano regolarmente con la Comunità di Sant’Egidio di Catania. «Non è un progetto creato a tavolino – spiega il responsabile Emiliano Abramo –. Siamo entrati al Cara di Mineo per portare aiuti materiali e abbiamo trovato innanzitutto una domanda di spiritualità molto forte». Così è nata l’esperienza della preghiera comunitaria, organizzata una volta alla settimana all’interno del Cara, assieme al coinvolgimento dei profughi nelle attività a favore dei più deboli: anziani, bambini e senzatetto. Elias racconta di sentirsi 'arricchito' dai racconti e dai sorrisi degli anziani che visita ogni settimana. «Sono persone ricche di esperienza, ho avuto molto da loro. E io sono felice quando sto con loro». Esperienze come quella di Catania permettono di leggere 'l’emergenza' immigrazione sotto una luce diversa. In un’ottica di restituzione, di dono di sé e del proprio tempo come primo passo per una vera integrazione attraverso la costruzione di legami, amicizie. Condivisione di valori e impegni per una città che – in futuro – potrebbe anche diventare casa. Capofila nel proporre queste esperienze è stata la Caritas di Bergamo: sul territorio sono presenti circa 400 profughi e la metà è impegnata in attività gratuite a favore del territorio. Il tutto grazie a un protocollo firmato lo scorso ottobre con la Prefettura e i Comuni del territorio per strutturare questo tipo di attività, all’interno di una  'cornice' amministrativa e legislativa ben definita. Che fornisce anche una copertura assicurativa.  «Ero preoccupato per i lunghi tempi di attesa necessari a ottenere i documenti. Non fa bene a ragazzi di venti, trent’anni restare tutto il giorno senza far nulla», spiega don Claudio Visconti, direttore della Caritas diocesana. Da qui l’idea di coinvolgere i giovani ospiti, prevalentemente africani, in attività di volontariato. Un’esperienza nuova, dal punto di vista amministrativo, che è stata poi presa a modello da altri Comuni in giro per l’Italia. «I profughi hanno apprezzato questa iniziativa perché ha permesso loro di restituire la gratuità ricevuta con l’accoglienza», spiega don Claudio. E il loro lavoro ha consentito di ripulire sentieri di montagna e parchi, di svolgere piccole attività di manutenzione negli oratori, nelle parrocchie e in vari edifici pubblici di alcuni centri della bergamasca. L’impegno volontario dei giovani profughi permette anche di spegnere i brontolii di chi vede nell’accoglienza solo uno spreco di risorse: «Vederli lavorare per il bene comune rende migliore l’accoglienza », conclude il sacerdote.  I profughi, dunque, possono diventare una risorsa per il territorio. In modo particolare per quei Comuni che – di fronte ai continui tagli e alla carenza di risorse – devono contenere il più possibile le spese. Nell’estate del 2014, il Comune di Sesto Fiorentino ha accolto una sessantina di persone. «Tutte le organizzazioni di volontariato e del terzo settore si sono impegnate da subito per portare aiuto» sottolinea con orgoglio il sindaco, Sara Biagiotti. E il fatto di vedere, oggi, i profughi impegnati in piccoli lavori di utilità sociale ha permesso di fare un ulteriore passo avanti. «Attraverso un apposito protocollo abbiamo coinvolto le associazioni del territorio, tra cui la Caritas – spiega il sindaco –. Queste hanno poi individuato le attività idonee a essere affidate ai profughi e abbiamo iniziato i lavori». Manutenzione, tinteggiature, pulizia dei canaletti e cura dei giardini e delle aree verdi: piccoli lavori, assolutamente non pericolosi, che «per noi sono molto importanti», conclude Sara Biagiotti. Gesti che sono un ringraziamento silenzioso per la solidarietà ricevuta dagli abitanti di Sesto Fiorentino. 
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