L’ora di religione come momento riservato a chi crede? Come catechismo impartito per convertire chi non crede? Oppure come insegnamento etico, o peggio, asettico elenco di nozioni? Niente di tutto questo. I numeri dicono che la stragrande maggioranza degli studenti, il 91,1%, si avvale dell’insegnamento della religione cattolica (Irc). Ma oltre a questo, il valore della conoscenza non tanto del fenomeno religioso, quanto della religione cattolica come fattore che ha costruito il tessuto in cui viviamo è al centro da ieri di una tre giorni dal titolo Io non mi vergogno del Vangelo. L’insegnamento della religione cattolica per una cultura al servizio dell’uomo, organizzato dal servizio nazionale di settore della Cei. Insegnamento confessionale? La «confessionalità» – ha spiegato il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco davanti ai 300convenuti, tra direttori diocesani e insegnanti di religione in rappresentanza dei circa 25mila specialisti – «non può essere vista come una complicazione o un intralcio all’esercizio della laicità, bensì essa costituisce una garanzia di identità ». Essa fa sì, dunque, che l’impegno vada a un insegnamento non «a-situato, cioè fuori contesto, ma al contrario che sia radicato in una tradizione viva, capace a sua volta di vivificarlo continuamente, e farlo progredire in un costante confronto con la realtà». E la realtà di oggi parla di una grande richiesta di senso. Ma è anche caratterizzata da spinte secolaristiche e dalla presenza plurale di altre religioni tra i banchi. Per i ragazzi di altro credo o che «si riferiscono ad altri sistemi di significato», però, conoscere la religione cattolica è tutt’altro che un orpello. L’alunno, al di là dell’appartenenza, infatti, è bene che percepisca «il significato dei valori che scaturiscono da questa fede» – ha proseguito il porporato – riconoscendo che essi sono «generalmente vissuti e condivisi e che nel nostro Paese sono parte integrante del patrimonio storico e culturale». Ma non è solo una questione di cultura libresca, bensì di vita quotidiana. L’insegnamento della religione cattolica, infatti, «potrebbe significare comprendere le persone che vivono coerentemente la fede cristiana», in vista della promozione di una «mentalità accogliente» che favorisca una «serena convivenza civile nel quadro del pluralismo». Obiettivo comune di Stato e Chiesa, in questo senso, è l’«alleanza educativa». Per raggiungere questi obiettivi – è emerso dall’intervento di Bagnasco, ma anche dalla presentazione del responsabile del Servizio nazionale per l’Irc, don Vincenzo Annicchiarico e dagli interventi di un direttore diocesano (di Brescia) e di una insegnante romana – occorre che la religione cattolica diventi sempre più disciplina scolastica a pieno titolo e con pari dignità. «La cura e la competenza dell’insegnante– ha confermato Annicchiarico – diventa espressione di una risorsa non solo per la scuola, ma per l’intera società», andando incontro «ai bisogni culturali ed educativi degli alunni e delle loro famiglie, mostrando così un impegno educativo per la piena realizzazione dell’uomo». A partire dalla loro precisa identità di credenti e uomini di «sintesi» tra fede e cultura, li ha definiti Bagnasco. «Testimoni della possibilità di riconoscere il Vangelo come sensato e significativo per la propria vita», è emerso dal saluto dei direttori diocesani. Con lo scopo di «formare la persona nella sua globalità», hanno ribadito gli insegnanti. Come modello, nell’Anno Paolino c’è l’Apostolo delle genti. Un promotore di dialogo e cultura. Non a caso l’incontro vedeva ieri seduti al tavolo con Bagnasco, la Gelmini, Annicchiarico e la sua vice, suor Feliciana Moro, anche il responsabile nazionale del Servizio nazionale per il progetto culturale Vittorio Sozzi e il vice Ernesto Diaco, che oggi prenderà la parola nella seconda giornata di lavoro. Più volte, infine, è ritornato l’accorato appello di Benedetto XVI sull’«emergenza educativa». E domani circa 8mila insegnanti da tutta Italia saranno ricevuti in udienza per la prima volta da Ratzinger.