È possibile ridare una vita a chi, di proroga in proroga, ha stagnato per anni nel limbo degli ospedali psichiatrici giudiziari pur non essendo più pericoloso Per Peppe Nese, psichiatra e membro del comitato paritetico interistituzionale che monitora il percorso di superamento degli Opg, la risposta è si. In base all’impegno assunto dalle Regioni nel novembre 2009, la Campania sta portando avanti un progetto che permetterà ad almeno 50 pazienti dimissibili di tornare in libertà entro la fine del 2010. «Abbiamo individuato 158 persone, detenute negli Opg di tutta Italia, di competenza della regione Campania - spiega Nese -. Di questi, un’ottantina sono stati giudicati dimissibili. Così abbiamo sollecitato le aziende sanitarie locali a presentare dei programmi di reinserimento individuali». Ciascun progetto, della durata di un anno, è stato finanziato con 30mila euro.A fine dicembre 2009, erano stati presentati già 48 progetti: «Le Asl hanno lavorato molto bene. In primavera ci eravamo dati l’obiettivo di dimettere una cinquantina di persone. Ma entro dicembre potremo anche superare quel traguardo», puntualizza Nese. Progetti calibrati sulle esigenze di ogni singolo internato: per qualcuno il rientro in famiglia, per altri l’inserimento in una comunità. Per gli altri ottanta internati, che non sono ancora dimissibili perché considerati socialmente pericolosi, il progetto della Regione Campania prevede di avviare progetti individuali «propedeutici a un percorso di dimissione -spiega ancora Nese -. In questo modo vogliamo andare a colmare un gap che spesso si registra tra "dentro" e "fuori". Tra l’Opg e la società che poi deve accogliere il paziente». Il tutto, precisa Nese, è stato finanziato con poco meno di tre milioni di euro reperiti dal fondo sanitario regionale, senza ricorrere a risorse aggiuntive. Per porre definitivamente la parola “fine” sull’universo del manicomi giudiziari però ci vorrà ancora del tempo. «Abbiamo dato una risposta a tutti gli internati campani – commenta Nese -. Sono stati avviati rapportti con gli assessori competenti delle altre regioni del nostro bacino (Lazio, Abruzzo e Molise,
ndr) per la presa in carico. Ma ad Aversa e Secondigliano ci sono ancora 117 internati "extra-bacino", per i quali non abbiamo competenza».Tocca quindi alle altre Regioni scendere in campo. Due le situazioni critiche. Da un lato l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto (cui fanno capo Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata) che si trova in una condizione di stallo: la Regione Sicilia non ha ancora recepito la normativa nazionale che prevede il passaggio della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia alle Regioni. Dall’altro la Lombardia e l’Opg di Castiglione che «deve aumentare la capacità di risposta per accogliere i pazienti provenienti dal suo bacino», osserva Nese.Chiudere gli Opg, quindi, è possibile anche perché i numeri delle persone coinvolte sono ridotti: circa 1.300. «Si tratta di far uscire quei malati che vi "stagnano" da anni, che hanno alle spalle un numero elevato di proroghe», conclude lo psichiatra. Magari ci vorrà un po’ più tempo rispetto a quanto stabilito dall’accordo siglato tra le regioni, ma come amava ripetere Franco Basaglia: «Si può fare».