Il centro di Shengyin - ANSA
Inviato alla Corte Costituzionale dal Tribunale di Brindisi il “decreto Piantedosi”, poi convertito in legge. I giudici della Consulta nei prossimi mesi valuteranno la legittimità della legge 15/2023 che ha imposto ulteriori limitazioni all’azione di soccorso in mare delle ong. Secondo il magistrato brindisino la norma presenta infatti possibili profili di incostituzionalità. In attesa della risposta della Corte Costituzionale, arriva l’annuncio dell’apertura dei due centri per migranti che il governo Meloni ha “delocalizzato” in Albania. Il costo previsto per la realizzazione e la gestione delle strutture, la cui apertura era stata annunciata per il 20 maggio, doveva essere di 653 milioni in 5 anni. Cifra che sarebbe già lievitata a 900 milioni.
Ad annunciare l’invio degli atti alla Corte costituzionale, in una conferenza durante il Festival Sabir delle culture mediterranee in corso a Roma, sono i legali della ong Sos Mediterranee che hanno seguito il caso, Francesca Cancellaro e Dario Belluccio assieme a Giorgia Girometti, della ong, e Filippo Miraglia di Arci nazionale. Nell’ordinanza di invio alla Consulta, firmata dal giudice del tribunale di Brindisi, Roberta Marra, si legge che «l’assunto che lo stato Libico costituisca “un porto sicuro”, sembra essere smentito da numerosi elementi di fatto, richiamati peraltro dalla giurisprudenza nazionale che - scrive il giudice - valorizzando la mancata ratifica da parte di quel Paese della convenzione di Ginevra e l’ineffettività del sistema di accoglienza libico per le «condizioni inumane e degradanti presenti nei centri di detenzione per i migranti, ha escluso la sicurezza dell’approdo dei migranti in Libia». Questi quindi i motivi, per il giudice brindisino, tali da ritenere «non manifestamente infondati profili d’incostituzionalità del decreto legge Piantedosi che regola la gestione dei soccorsi in mare e ha rimesso gli atti alla Consulta, con riferimento agli articoli 3, 11, 25, 27 e 117 della Costituzione». La decisione del giudice è nel ricorso contro il fermo della nave Ocean Viking di Sos Mediterranee, disposto il 9 febbraio dalla Guardia Costiera, per presunte violazioni del decreto.
Sono tre «i pilastri» su cui si basa l’ordinanza, spiega l’avvocato Cancellaro. «Il primo aspetto riguarda la natura non graduabile e automatica del fermo di 20 giorni e la sua incapacità di essere conforme ad un principio di proporzionalità e individualizzazione della sanzione». Il secondo sarebbe relativo «al principio di determinatezza. Chi stabilisce il contenuto della violazione? La cosiddetta guardia costiera libica?». Il terzo elemento importante, ritiene Cancellaro, è quello relativo «agli obblighi internazionali del nostro Paese nella misura in cui dà legittimità e riconoscimento all’azione di soccorso di autorità libiche, non considerabili né porto sicuro, né capaci di coordinare un soccorso». Per Dario Belluccio «la Libia non fa ricerca e soccorso in mare, ma intercetta i migranti per riportarli in centri di detenzione disumani».
Giorgia Girometti ricorda che «dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo hanno perso la vita 1.158 persone». L’avvocato Belluccio sottolinea che non può continuare ad esserci «una produzione normativa che criminalizza un’attività dovuta, svolta senza scopi di lucro e che ha come unico scopo quello di salvare le vite in mare. Le ong suppliscono alle carenze degli Stati nelle operazioni di ricerca e soccorso. E qual è il controllo che l’Italia, che sia un ente o un cittadino, può avere su un provvedimento amministrativo - chiede l’avvocato Bellluccio - emesso da un’autorità straniera sulla base della sua legislazione, con comunicazioni per mail di due o tre righe?». Discorso valido anche per la Tunisia, «che come la Libia non ha mai firmato le convenzioni internazionali sui diritti umani».
Sull’altro fronte delle politiche migratorie del goveno arriva l’annuncio che i due centri di accoglienza dei migranti, costruiti dall’Italia in Albania, sono operativi: «Siamo pronti ad accogliere i primi» che arriveranno, ha annunciato l’ambasciatore d’Italia a Tirana, Fabrizio Bucci, nel corso di un sopralluogo con la stampa nel centro di Shengyin. Proprio a Shengyin infatti è stato allestito il centro di prima accoglienza. Qui che, appena scesi dalle navi di soccorso (solo quelle militari, no delle ong), i migranti saranno sottoposti agli accertamenti sanitari, all’identificazione e saranno anche rifocillati.
Poi, in giornata, i migranti saranno trasferiti al centro di accoglienza di Gyader, a poche decine di chilometri di distanza. Lì il campo di Gyader è diviso in tre sezioni: la più grande ospiterà i migranti che hanno fatto domanda di asilo e sono in attesa della risposta. La seconda è un Cpr (Centro per i rimpatri), dove alloggeranno quelli la cui domanda di asilo è stata respinta. La terza sezione, invece, è dedicata ad un piccolo penitenziario nel quale dovrebbe essere rinchiuso chi compie reati all’interno del campo.