lunedì 11 giugno 2018
A Torino un giudice chiede il parere della Corte costituzionale dopo la revoca della patente per 5 anni per una «colpa lieve». A Milano comminato l'ergastolo della patente.
Dall'archivio Fotogramma

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Omicidio stradale, pene eccessive oppure troppo basse? Per uno dei curiosi giochi del destino, che pure talvolta accadono, venerdì scorso la nuova legge sul cosiddetto 'omicidio stradale' è finita sotto i riflettori della cronaca in sensi decisamente contrapposti: a Torino un giudice ha sollevato infatti due questioni di legittimità costituzionale sulla norma, a Milano invece grazie alla stessa è stato comminato – circostanza rara – l’'ergastolo della patente' a un pirata della strada.

Peraltro le eccezioni portate alla Consulta dal Tribunale piemontese (giudice Modestino Villani della sesta sezione penale) vertono proprio sulla quantificazione della pena; la legge, infatti, così come è formulata limiterebbe anzitutto la discrezionalità del giudice nell’applicazione delle circostanze attenuanti o aggravanti, inoltre in caso di condanna – anche dopo un patteggiamento – implica la revoca della patente con l’impossibilità di ridare l’esame di guida per almeno 5 anni: sanzione che potrebbe essere sproporzionata in caso di «colpa minima», come quella che ha provocato il ricorso alla Corte costituzionale.

Il tribunale torinese giudicava appunto il caso di un’anziana signora investita nel 2016 mentre attraversava la strada a Moncalieri, riportando lesioni guaribili in 60 giorni. Secondo il difensore dell’automobilista, avvocato Riccardo Salomone, il trattamento sanzionatorio risulterebbe appunto «sproporzionato e irragionevole », con un automatismo sulla sospensione del documento di guida che secondo il legale non dovrebbe essere consentito. Tra l’altro, l’incidente stradale in questione è avvenuto mentre sia l’autista sia il pedone stavano passando col semaforo rosso, tanto che la stessa procura nel capo d’accusa ha fatto presente il concorso di colpa.

Ben diversa la situazione milanese, dove venerdì il gup Natalia Imarisio ha inflitto con rito abbreviato 6 anni e sei mesi di carcere e la revoca a vita della patente ad Alessandro Ghezzi, milanese di 45 anni già ai domiciliari dal 27 gennaio; l’uomo – ubriaco (aveva nel sangue un tasso alcolico di 1.58, tre volte il valore consentito di 0.50), con la patente sospesa e la macchina non assicurata – aveva travolto sbalzandolo per 22 metri e ucciso con il suo suv Sandro Orlandi, pensionato di 88 anni al quale non aveva poi nemmeno prestato soccorso. Arrestato poco dopo, Ghezzi si era riconosciuto nelle immagini delle telecamere che avevano ripreso l’investimento, ma sosteneva di avere un vuoto di memoria dal momento in cui era entrato al bar dove, secondo la sua versione, aveva consumato solo due o tre birre.

Venerdì l’uomo – che ha anche precedenti penali per condanne definitive: lesioni, resistenza a pubblico ufficiale e ancora guida in stato d’ebbrezza e senza patente – ha cercato di chiedere scusa davanti al giudice, ma sulla pena ha influito soprattutto lo sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato (il pm aveva chiesto una condanna a 7 anni). Peraltro il legale di parte civile, avvocato Domenico Musicco che è anche presidente dell’Associazione vittime incidenti stradali, sul lavoro e malasanità, si è detto soddisfatto: «È una condanna in linea con le nuove norme sull’omicidio stradale che anche la nostra associazione ha contribuito a far approvare. Difficilmente si poteva avere una pena maggiore, dato il rito. E ci soddisfa la revoca della patente a vita, il cosiddetto ergastolo della patente, un caso raro». Diverso il parere dei familiari della vittima («Credo che servano pene anche più severe», ha dichiarato il figlio dopo la sentenza), che comunque ora potranno cercare di ottenere un risarcimento dal Fondo di garanzia per le vittime della strada.

E diversa – come si diceva all’inizio – anche l’opinione di altri giuristi: prima di Torino, una questione di legittimità costituzionale sull’omicidio stradale era stata sollevata pure a Roma nel maggio 2017 da un giudice per le indagini preliminari. Ora toccherà dunque alla Consulta dirimere la questione, almeno per quanto riguarda l’entità delle pene.

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