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La tassazione degli extraprofitti delle banche sta diventando il tema centrale, ma pure il “punctum dolens” di questo agosto: un tema che si affianca a quello, ben più motivato e solido, del salario minimo. Oggi si prevede una riunione del Comitato di presidenza dell'Abi per decidere la posizione da assumere nei confronti della misura varata dal governo. A livello politico, con differenziazioni dentro e tra partiti della maggioranza e dell'opposizione, sembra sussistere un orientamento favorevole alla tassazione. Il fatto è che la finalità dell'intervento è condivisibile, prospettata com'è secondo ragioni di equità sociale e incentrata, almeno nei propositi, nella destinazione del gettito alla riduzione del l'onere dei mutui per i titolari di redditi bassi e a una generica riduzione dell'Iperf. D'altro canto, è indubbio che le banche abbiano nettamente migliorato la loro redditività in conseguenza dell'aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce.
Tuttavia, ci si deve chiedere se la misura adottata sia quella giusta. Se essa, paradossalmente, da un lato determini una condizione opposta all'equità colpendo le banche, ma non tutti i settori che pure hanno registrato aumenti dei profitti, dall'altro incidendo in un comparto già soggetto ad addizionali di imposta. Anzi, si potrebbero verificare dei boomerang per il possibile aumento delle commissioni che non rientrano nel margine di interesse alla base dell'imposizione - o addirittura lo stesso aumento del costo dei prestiti in funzione compensativa.
Inoltre, quando la premier Meloni fa riferimento a differenziali non legittimi tra tassi attivi e tassi passivi, imbocca la strada per cui il governo valuta i prezzi e si torna alla legge bancaria del 1936. Gli impatti negativi di Borsa segnalano come la misura in questione susciti preoccupazioni negli azionisti delle banche e possa porre problemi sul piano della stabilità finanziaria, come capita ogniqualvolta si interviene fiscalmente in via straordinaria sulle banche con provvedimenti non adeguatamente motivati: sono ancor vivi nella memoria degli italiani che hanno vissuto quel periodo o ne hanno letto nei resoconti storici gli impatti negativi dell'imposta del 6 per mille introdotta nottetempo dal governo Amato nel 1992. Del resto, la decisione sopravvenuta nelle ultime ore da parte dell'esecutivo di porre un tetto al gettito ricavabile con la tassa e di migliorare i parametri di riferimento segnala una parziale revisione in corso. In sostanza, i possibili controeffetti e l'incertezza e i timori a più ampio raggio che la tassa provoca indurrebbero a rivedere l'opportunità di mantenerla in vita. Ma certamente così non sarà e allora bisogna confidare in una sua netta revisione.
Oggi vedremo quale sarà la posizione dell'Assobancaria a seguito di una molto impegnativa seduta nella quale il presidente Antonio Patuelli dovrà dare il meglio di sé per una sintesi efficace, dati quelli che appaiono orientamenti non sempre collimanti nel settore, a cominciare da una possibile differenziazione tra banche grandi e istituti minori. Ma il problema esiste e un appiattimento per ragioni di “realpolitik” sulla linea tracciata dal governo sarebbe una scelta miope. La strada migliore da imboccare, invece, sarebbe stata e sarebbe tuttora quella di una concertazione tra governo, banche e parti sociali.