martedì 28 aprile 2009
Il direttore generale dell’Azienda sanitaria unica regionale scrive ai direttori delle zone territoriali e ai dirigenti medici obbligandoli a prescrivere il Norlevo. Negato ai medici il ricorso anche alla clausola di coscienza e ventilate persino conseguenze civili e penali in caso di mancata adesione alle richieste della donna.
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Alla pillola del giorno dopo non si può dire di no. Almeno nel­le Marche. È questo il senso della lettera-direttiva che il direttore generale della Azienda sanitaria unica regionale (Asur) ha inviato ai direttori delle zone territoriali e ai dirigenti me­dici di presidio della Regione Marche per stabilire «riferimenti normativi e criteri operativi » in merito alla rela­zione tra pillola del giorno dopo e o­biezione di coscienza. In pratica me­dici ospedalieri e territoriali (consul­tori, guardia medica, 118, ma anche medici di famiglia) sono interessati al­la disposizione che il direttore genera­le, Roberto Malucelli, ha inviato, con­cludendo che «il sanitario, considera­ta la situazione di obiettiva gravità ed urgenza in cui la richiedente versa, de­ve riscontrare positivamente la richie­sta, rilasciando la relativa prescrizio­ne ». Una posizione che solleva le per­plessità del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che rileva almeno due ordini di problemi: uno etico e u­no deontologico. E anche i medici so­no in allarme, preoccupati di dovere prescrivere un farmaco prescindendo dalla propria scienza e coscienza. Ieri non è stato possibile parlare con il direttore generale Malucelli perché – ha riferito la sua segreteria – era im­pegnato in riunioni fuori sede; né era raggiungibile il responsabile dell’Uffi­cio relazioni con il pubblico dell’Asur. Resta quindi solo il testo della lettera. Il direttore generale ha scritto per ri­spondere a «richieste di chiarimento» ricevute. E comincia escludendo che nel caso della pillola del giorno dopo si possa far riferimento all’obiezione di coscienza prevista dalla legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Obiezione di coscienza, quindi, che «non afferisce ad altre pra­tiche » e «non trova applicazione con riferimento alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” avuto riguardo all’ambi­to temporale entro il quale la pillola è destinata ad estrinsecare efficacia». In definitiva il medico non può «opporre un rifiuto motivato dalla circostanza di essere obiettore di coscienza». Ma neanche potrà essere invocata la cosiddetta « clausola di coscienza » , prevista dall’articolo 22 del Codice di deontologia medica, che recita: «Il me­dico al quale vengano richieste pre­stazioni che contrastino con la sua co­scienza o con il suo convincimento cli­nico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento». Secon­do il direttore generale dell’Asur Mar­che, « tale previsione di carattere ge­nerale comporta la necessità di un rac­cordo pure di ordine generale, di cui al­l’articolo 20» dello stesso Codice («Il medico deve improntare la propria at­tività professionale al rispetto dei diritti fondamentali della persona»). «Da ciò – scrive Malucelli – il necessario bilan­ciamento tra i diritti del paziente e gli autonomi convincimenti del medico relativamente a tutta una serie di in­terventi sanitari rispetto ai quali si re­gistrano diversi orientamenti etici». La conclusione è che il personale sanita­rio «considerata la situazione di obiet­tiva gravità ed urgenza in cui la richiedente versa, deve riscontrare positiva­mente la richiesta, rilasciando la rela­tiva prescrizione». E si aggiunge che il rifiuto della prescrizione, oltre che non coerente con il codice deontologico, «si configura come contra legem ed in­tegra un illecito rilevante sia sotto il profilo civile che penale», richiaman­do l’eventuale richiesta di risarcimen­to rivolta all’azienda sanitaria e il rea­to di interruzione di pubblico servizio e rifiuto di atti d’ufficio. Una lettura che non convince il sotto­segretario Eugenia Roccella: « Ci sono due aspetti da consi­derare. Il primo è tecnico: nel foglietto illustrativo del far­maco, la stessa a­zienda produttrice dichiara che la pillo­la può impedire l’im­pianto dell’ovulo fe­condato nell’utero. Il meccanismo d’azio­ne di questo prodot­to non è del tutto chiaro, ma resta il ri­schio di eliminare un embrione. Quindi il problema etico esi­ste: tant’è vero che su questo tema c’è una nota del Comitato nazionale per la bioetica». In secon­do luogo, c’è un pro­blema per la salute della donna: « Se quando il farmaco è stato introdotto in I­talia ( era ministro della Sanità Umberto Veronesi) – ag­giunge Eugenia Roccella – è stato sta­bilito che occorre una ricetta non ri­petibile, significa che ci sono motivi scientifici per cui non può essere clas­sificato tra i farmaci da banco. E credo che non si possa obbligare nessun me­dico a prescrivere un farmaco. Anzi il medico deve poter effettuare un’ade­guata valutazione clinica che com­prende le eventuali controindicazio­ni, prima di scrivere una ricetta». Va anche ricordato che in favore della possibilità di ricorrere alla clausola di coscienza si era espresso anche il Con­siglio nazionale della Fnomceo riuni­tosi nello scorso ottobre a Ferrara. I medici marchigiani sono in fermen­to: «Ci pare preoccupante – segnala un ginecologo di un consultorio pubblico – che non si tenga conto di testi della Fnomceo e del Comitato per la bioeti­ca e dello stesso Codice deontologico. Stiamo predisponendo una lettera per riaffermare la nostra volontà di non sottostare a questa disposizione che nega la nostra libertà professionale». Il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella
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