Alle 7 della sera, entrando alla festa per i 140 anni del giornale romano il Messaggero, è il ministro dell’Economia in persona, Giovanni Tria, a porre fine una volta per tutte (forse) alle ipotesi di nuovo rilanciate ieri da alcuni giornali: «Lo abbiamo detto dal primo giorno, l’Iva non aumenterà». È l’ultima pietra su una diga di smentite messa su dal mattino dai due vicepremier, Luigi Di Maio («Una fake news, non è assolutamente vero», aveva fatto sapere dalla lontana Cina) e Matteo Salvini. Parole secche per porre fine a ricostruzioni che volevano l’ipotesi non affrontata al vertice di lunedì scorso e riaffiorata con forza nelle ore successive.
Ma che l’ipotesi di non annullare le clausole di salvaguardia sull’Iva, magari solo in parte, per finanziare una prima riduzione dell’Irpef pagata dagli italiani sia stata per qualche giorno sul tavolo dei tecnici viene confermato in effetti anche dal viceministro del Tesoro, il leghista Massimo Garavaglia, che poi smentisce contraddetto però da Radio radicale (dove aveva parlato). Fatto sta che la strada, che non è mai dispiaciuta al Tria professore prima di arrivare a via XX Settembre e su cui forse anche il premier Conte sarebbe stato disponibile a ragionare pur di trovare qualche fonte di copertura, nel giro di qualche ora viene ufficialmente bloccata.
Non va peraltro trascurato un particolare tecnico: se abbinato a un deficit portato all’1,6%, l’aumento dell’Iva libererebbe sì nel 2019 circa 12 miliardi per ridurre altre imposte, ma - essendo il taglio delle aliquote una misura permanente obbligherebbe comunque dal 2020 a proseguire ogni anno con le richieste di flessibilità a Bruxelles (o a introdurre un’altra clausola di salvaguardia) per non far 'esplodere' il deficit. Sminato di nuovo il discorso Iva, i problemi restano però tutti sul tavolo per gli alleati di maggioranza.
E sembrano anzi accresciuti, dietro le dichiarazioni di facciata, dalle tensioni alimentate dalla rinata liaison fra Salvini e il centrodestra. Poco prima delle 16 il vicepremier leghista esce da Palazzo Grazioli, dov’è in corso il vertice con Berlusconi e Meloni, per tuffarsi nel palazzo accanto in una riunione con i sottosegretari economici del Carroccio, Garavaglia, Bitonci e Durigon. E ne esce con un elenco di misure dove si sente molto l’'impronta' della destra (Flat tax, riforma Fornero, pace fiscale e anche contributiva) e poco quella M5S. Sul Fisco per le imprese, 1,5 milioni di partite Iva (professionisti e ditte individuali) potranno avere una tassa fissa al 15% se i volumi d’affari saranno compresi entro 65mila euro.
E ci sarà soprattutto la 'super-Ires', che scenderà per tutte le imprese dal 24% al 15%, in via 'struttura- le', in caso di reinvestimenti, assunzioni e aumenti di capitale. Altro capitolo che piace agli 'alleati' di centrodestra è quello delle pensioni. La quota 100 si farà e qui Salvini rilancia la sua combinazione, quella tra i 62 anni d’età e i 38 anni di contributi. Allo studio ci sarebbero anche strumenti per coprire 'buchi' contributivi dal 1996 in poi, per favorire l’operazione. I dettagli, tuttavia, restano ancora soggetti alle valutazioni che si faranno con il confronto dentro al governo.
Solo allora si capirà se si sceglierà invece l’opzione alternativa circolata mercoledì, con la combinazione 65+35 (che però farebbe salire a 470mila unità i potenziali italiani interessati) o se si fisserà un limite minimo di contributi, oltre che di età. La platea può variare, non l’obiettivo politico, ribadito Salvini: «Se riusciremo a mandare in pensione 3-400mila italiani per dare lavoro a 3-400mila giovani avremo fatto una buona cosa».