giovedì 19 luglio 2018
Il neo presidente 33enne dell'Ucoii: «Il ricambio generazionale è un messaggio anche per le nostre comunità. Rispetto assoluto per lo Stato e lotta all'estremismo»
Nuovi volti, nuove sfide. Spazio a giovani e donne
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Due passi avanti importanti, sui temi della questione generazionale e del ruolo della donna. Il nuovo direttivo dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, rappresenta un doppio segnale lanciato alla nostra opinione pubblica, che più volte ha incalzato in questi anni il mondo musulmano sulla necessità di una svolta. Perché vede come presidente Yassine Lafram, 33 anni, già coordinatore della comunità islamica di Bologna, e perché inserisce una donna, Nadia Bouzekri, 25 anni, già presidente dei Giovani Musulmani, ai vertici come vicepresidente.

«È un messaggio che contemporaneamente inviamo alle nostre comunità sparse nella penisola e all’Italia tutta – spiega Yassine –. Ci sentiamo parte integrante del nostro tessuto sociale, ci sentiamo figli di questo Paese e pensiamo sia giusto dare spazio alle nuove generazioni anche attraverso criteri di meritocrazia». Nessuna scelta di comodo o di facciata, nessuna indulgenza buonista in tempi peraltro difficili, segnati da rancore e fatiche. Nessuna pretesa di rappresentare tutto il mondo musulmano italiano, che annovera anche altre sigle, a partire dal Coreis. Ma la novità c’è. «Tante questioni accomunano le nostre famiglie alle famiglie autoctone, dalle rivendicazioni sociali al mantenimento dell’identità religiosa » dice Yassine. Le linee guida dei prossimi anni vanno dalla necessità di affrontare la sfida educativa con efficacia e chiarezza, all’impegno di testimoniare un islam finalmente plurale e multietnico, che passerà anche da parole chiare (peraltro già pronunciate in passato dal presidente uscente, l’imam di Firenze, Izzedin Elzir) contro il fondamentalismo e l’estremismo di matrice islamista.

C’è un passaggio culturale da cogliere e da valorizzare, quello che Yassine Lafram sintetizza nella difficoltà da vincere di dover «scindere cultura e religione. È inutile negare che esistano conflitti e disagi anche per le nostre famiglie, con percezioni diverse del mondo tra genitori e figli ». Nell’operazione verità che l’Ucoii si appresta a fare per spiegare qual è il vero volto dell’islam italiano (sia pure nell’universo di sigle e rappresentanze diverse che rendono faticoso un dialogo unitario con lo Stato italiano e con le altre confessioni religiose) è una notizia il fatto che i primi a chiedere che la lingua italiana diventi patrimonio comune per i musulmani d’Italia, siano proprio i nuovi vertici. «In realtà è già così, e da tempo – spiega Yassine –. Nelle moschee si parla già italiano, sermoni compresi. Semplicemente perché i nostri ragazzi, molti dei quali sono nati qui, non parlano arabo, semmai alcuni dialetti. Non capiscono i notiziari di al Jazeera, ad esempio». L’altra conquista importante sarà «il superamento di alcuni codici culturali legati alla figura femminile. Attenzione: non abbiamo cambiato l’interpretazione dei testi religiosi. Abbiamo semmai deciso di ribadire il rispetto assoluto per il valore della donna insieme a quello per le leggi vigenti di questo Stato. Dirò di più: è necessario ripartire dalla famiglia e dalla scuola». Come potrà farlo il mondo islamico, in un contesto in cui non mancano notizie di cronaca che segnalano il difficile rapporto tra genitori e figli? «Sono convinto che i giovani sapranno fare da ponte. È necessario coinvolgere le comunità di base dei musulmani, ribadire che noi appartenenti alla comunità islamica ci sentiamo cittadini italiani a pieno titolo. Senza incontro, non ci può essere conoscenza». È il 'laboratorio Bologna' quello che il nuovo presidente dell’Ucoii ha in mente, avendolo già sperimentato con successo con la diocesi guidata dall’arcivescovo Matteo Zuppi e con la comunità ebraica: dialogo, buon senso, cammino comune alla ricerca di ciò che unisce e non di ciò che divide. «A Bologna abbiamo fatto alcune esperienze insieme, attraversando forti resistenze e pregiudizi reciproci. Il lavoro comune dà frutti, anche piccoli ma preziosi, e permette di superare diffidenze e stereotipi»

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