Mezzi del comando aeronavale della Guardia di Finanza sono impegnati da questa mattina nelle ricerche delle vittime dell'ultimo naufragio che sarebbe avvenuto nel Canale di Sicilia. Secondo il racconto di cinque superstiti di nazionalità eritrea, tra cui una donna, soccorsi ieri al largo di Lampedusa da una motovedetta delle Fiamme Gialle, durante la traversata in gommone durata oltre venti giorni, 73 immigrati sarebbero infatti morti di stenti e i loro corpi abbandonati in mare.Ieri le autorità maltesi hanno confermato che alcuni mezzi aerei impegnati nella missione Frontex hanno avvistato negli ultimi giorni sette cadaveri che non sono stati recuperati perché si trovavano in acque libiche. Nelle ricerche, che si estendono in un'ampia zona di mare da Lampedusa fino alle acque di competenza maltese per quanto riguarda le operazioni Sar (ricerca e soccorso ndr), sono impegnati due pattugliatori d'altura, uno del Gruppo aeronavale di Taranto l'altro di Messina, e un elicottero AB412 sempre di stanza a Taranto.
Il Viminale: nessuna richiesta di soccorso. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha ricevuto questa mattina dal prefetto di Agrigento una relazione sulla vicenda dei 5 immigrati rritrei soccorsi ieri al largo di Lampedusa. "Nella relazione - rende noto il Viminale - si precisa che nessuna richiesta di soccorso, dal gommone che trasportava i 5 eritrei, è pervenuta alle autorità italiane prima di quella che ha consentito l'intervento del pattugliatore della Guardia di finanza, nè l'imbarcazione è stata mai avvistata dai numerosi servizi di pattugliamento che quotidianamente si svolgono nell'area". Sempre nella relazione, si ricorda che "gli accertamenti sull'accaduto e sulle dichiarazioni rese dagli extracomunitari sono al vaglio della Procura della Repubblica di Agrigento, supportata dai servizi investigativi delle forze di polizia".
L'inchiesta. Per saperne di più, la procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta sulla presunta tragedia, come confermato dal procuratore Renato Di Natale. «Di 73 morti durante la traversata – dice – ha parlato uno solo dei cinque eritrei soccorsi. Stiamo facendo accertamenti e sull’isola le autorità stanno sentendo, con l’ausilio di un traduttore, gli altri quattro che non sono in buone condizioni di salute». Habeton, 17 anni, uno dei supersti- ti del naufragio ha poi aggiunto un particolare inquietante: «Durante la traversata abbiamo incrociato almeno dieci imbarcazioni, alle quali abbiamo chiesto inutilmente aiuto. Solo nei giorni scorsi un pescatore ci ha offerto acqua e cibo». Un fatto allarmante per Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. «Un triste primato che preoccupa enormemente. Come se stesse prevalendo la paura di aiutare sul dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare. Come se fosse passato il messaggio che chi arriva via mare sia una sorta di vuoto a perdere». La Boldrini ha poi ricordato che «gli eritrei che arrivano in Italia via mare sono richiedenti asilo, persone in pericolo che cercano protezione a e a cui l’Italia riconosce questo bisogno e questo diritto». E se si pensa che la striscia di mare tra Lampedusa e la Libia è vigilata, giorno e notte, anche con le motovedette donate dall’Italia alla Libia Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, si chiede come sia possibile che «un gommone di 12 metri possa stare lì per tanto tempo senza che nessuno se ne sia reso conto. Vuol dire davvero che è stato abbandonato al suo destino ». Un fatto che, secondo Hein, «richiede un’investigazione, anche perché risulta che i maltesi avrebbero avvertito le autorità italiane». In realtà i barconi che solo ieri hanno eluso i controlli in alto mare sarebbero almeno tre, tanti quanti gli sbarchi avvenuti nel giro di poche ore a Lampedusa. Il primo barcone, segnalato da un diportista, con una quarantina di migranti a bordo è stato intercettato dalle motovedette della Capitaneria di porto a circa un miglio e mezzo dall’isola. Il secondo è quello con i cinque eritrei soccorso dalla motovedetta della Guardia di finanza, mentre nel pomeriggio altri cinque tunisini, subito bloccati a terra dai carabinieri, sono riusciti ad approdare a Cala Croce con una piccola barca in vetroresina.
La tragedia. Stremati, con il corpo ridotto a uno scheletro e gli occhi persi nel vuoto, ma vivi. Così sono arrivati ieri sull'isola di Lampedusa, tra l'orrore dei soccorritori, i cinque eritrei superstiti dell'ennesima tragedia del Mediterraneo. Stando ai loro racconti, avrebbero trascorso una ventina di giorni in mare, alla deriva, mentre la fame e gli stenti decimavano il carico umano. «Siamo partiti il 28 luglio da Tripoli. Eravamo in 78 per lo più eritrei e solo in minima parte etiopi. Dopo una settimana sono terminati cibo, acqua e benzina. Anche i cellulari erano scarichi – ha raccontato uno dei superstiti –. Il gommone è andato alla deriva, spinto dalle correnti. Le persone che morivano venivano gettate in mare». Il gommone con le cinque persone a bordo è stato segnalato da Malta alle autorità italiane impegnate nella missione Frontex (il pattugliamento congiunto del Mediterraneo, ndr ) all’alba di ieri, quando si trovava a circa 19 miglia da Lampedusa, al confine con le acque di competenza italiana per le operazioni ricerca e soccorso in mare, senza specificare però da quanto tempo venisse monitorato. L’allarme è stato raccolto dalla centrale operativa di Messina del Gam, il Gruppo aeronavale della Guardia di finanza, che ha subito allertato le motovedette di stanza a Lampedusa.