Quando si guarda una mappa della Russia, la maggior parte delle persone assume un’espressione “a punto interrogativo” nel leggere i nomi delle regioni e delle repubbliche di questo immenso paese. Tuva, Bashkiria, Calmucchia, Tatarstan. Nebbia, per i più. Ma quando si legge “Kamchatka”, le cose cambiano: all’improvviso un nome familiare, un qualcosa di finalmente già sentito. La ragione è semplice, la Kamchatka era uno dei territori sulla mappa del Risiko, il più popolare gioco da tavolo a tema militare di tutti i tempi, con cui sono cresciute intere generazioni fino agli anni 2000. “Kamchatka”, ai tempi, ci pareva un nome inventato, una terra di fantasia come quelle dei romanzi fantasy di Tolkien, e invece esiste eccome, è davvero un luogo reale. E stupirà ancora di più sapere che non solo è un luogo reale, ma è anche uno dei posti con la natura più spettacolare del nostro pianeta.
La Kamchatka è infatti una penisola vulcanica facente parte del cosiddetto “Ring of Fire” che circonda l’Oceano Pacifico passando per i territori a maggiore rischio sismico e di fenomeni vulcanici esplosivi del mondo. Dalle Ande alla California, fino a Giappone ed Indonesia, si passa per la Kamchatka. Terra di vulcani, di foreste, di orsi giganteschi. Un luogo proibito al turismo straniero fino alla caduta dell’Urss poiché posizionato sui confini orientali dell’impero sovietico nel confronto strategico con gli Usa nella Guerra Fredda. Solo personale militare con permessi speciali poteva entrare nel territorio intorno a Petropavlovsk-Kamchatskiy, capoluogo della regione, città collegata al resto della Russia solo via mare o via aerea: non esistono strade che portano in Kamchatka, e quelle che ci sono al suo interno sono spesso piste sterrate che si addentrano per centinaia di kilometri dentro la taiga. Vulcani enormi dai nomi impronunciabili per noi europei del sud: Viljučinskij Ključevskij, Kronotskij, Tol’bačik. Campi di lava a perdita d’occhio. Spiagge di sabbia nera che si affacciano su un oceano freddo e maestoso. La sensazione costante di essere impotenti di fronte alle inarrestabili forze che emergono dalle profondità del pianeta.
La parallela meraviglia di fronte a paesaggi violenti, dai tratti e dai colori epici, cui si aggiunge la gioia della scoperta perché i vulcani della Kamchatka non hanno ancora mai trovato spazio tra i grandi depliant del turismo di massa. Era così quando le relazioni tra Russia e Occidente erano normali, figurarsi adesso dove nel mondo occidentale, a dire che una regione della Russia offre alcuni dei paesaggi più belli del mondo si rischia di essere additati di propaganda filo-putiniana. Ciò che però affascina e allo stesso tempo conforta è che la natura ha in sé la purezza di ciò che è eterno, di ciò che non si cura minimamente delle fluttuazioni dell’isteria dell’uomo, che non si cura di ciò che di buono o di malvagio egli fa, pensa, dice o scrive. La natura osserva tutto in silenzio, non giudica, e in qualche modo trasmette un senso di amore senza condizioni, proprio come se al suo interno ci fosse la madre di tutti noi, che non prende le parti di giusti o sbagliati, ma che guarda tutti con lo sguardo di amore di ogni madre. In tempi come questi, dove le urla di guerra si alzano violente da ogni angolo del mondo, forse varrebbe la pena coltivare più intensamente la nostra relazione con lei, la natura, quella forza che essendo madre per tutti, è l’ultima risorsa che abbiamo per ricordarci di essere tutti fratelli, e tutti soggetti alle medesime dinamiche in cui, con triste ciclicità storica, finiamo per restare intrappolati.
La natura è eternamente lì, in silenzio, pronta a darci una seconda chance, a resuscitare in noi la purezza e la meraviglia di quando eravamo bambini, e ci piaceva vivere la vita di emozioni semplici: una gita fuori porta, un pomeriggio speso a disegnare, tirare i dadi di una partita a Risiko con gli amici. Forse un’esperienza di cui avrebbero bisogno quei potenti che a Risiko continuano a giocare, ma sulla pelle altrui.