
Antonio Baldassarre - IMAGOECONOMICA
«Così non è l’avvio di un progetto di difesa comune. Così sembra solo un pasticcio». Il professor Antonio Baldassarre usa le parole con una certa parsimonia: «Semplicemente si riarmano i singoli Stati». Presidente emerito della Consulta, a lungo docente di Diritto costituzionale nei più prestigiosi atenei italiani, interviene di rado nel dibattito pubblico e lo fa non a caso. Nell’ottobre 2022, ad esempio, «quando si era ancora in tempo », fu il primo firmatario di un appello per la pace con sottoscrittori di diverso orientamento politico/culturale. Da Pietrangelo Buttafuoco a Massimo Cacciari, da Franco Cardini ad Agostino Carrino, da Francesca Izzo a Mauro Magatti, da Eugenio Mazzarella a Giuseppe Vacca, da Marcello Veneziani a Stefano Zamagni. Un invito ad abbassare i toni e interrompere l’escalation di un riarmo che aveva sullo sfondo l’incubo della minaccia nucleare. Appello inascoltato. «E ora non c’è altra strada che prendere per buona la pace di Trump, riempiendola di contenuti, facendo spazio finalmente a un pensare comune europeo, che viene prima della moneta unica, e anche della difesa comune ». Baldassarre parla anche da conoscitore profondo degli Usa avendo insegnato, in gioventù, all’università di Yale, in Connecticut.
Ma non è una pace anti-europea quella che si profila, con Trump?
La politica di Biden era meno diversa di quel che si possa pensare. Trump magari è più grezzo, più urticante, ma l’Europa è un progetto politico avversato dagli Usa nel sentimento profondo della gente comune, perché viene percepito come una minacciosa “Grande Germania”. La situazione attuale è in larga misura addebitabile alla miopia degli Stati Uniti, che avrebbero potuto chiudere la contesa sul nascere come fece Kennedy con la Russia, di fronte alla minaccia dei missili cubani, nel 1962, minacciando l’escalation nucleare. Miopia, o forse altro.
Che cosa intende dire?
Mi riferisco proprio a questo diffuso sentimento anti-europeo che accomuna democratici e conservatori, al di là dei toni più grezzi e meno diplomatici dei secondi, figli della cultura del “Far West”. Washington ha alimentato il conflitto ucraino, ma non ne ha favorito la conclusione, traendone evidenti vantaggi.
Si riferisce alla dipendenza dal più costoso gas Usa a cui siamo passati?
Mi riferisco, più che all’aspetto commerciale, a quello geo-politico, che riguarda - ancora una volta - soprattutto la Germania. Si è interrotta, oltre al rapporto sul gas, un’influenza di altro tipo molto forte, che riguardava innanzitutto la Germania, per ovvie ragioni storiche e geografiche.
L’invasore però è e resta Putin, o no?
Indubbiamente, ma ancora una volta vanno individuate ben precise colpe degli americani e la colpevole assenza dell’Europa. Veda, in Italia abbiamo il vizi di giocare sempre ai buoni e cattivi, ma è il modo peggiore per leggere la storia con obiettività. Con obiettività va detto invece che la volontà manifestata dell’Ucraina di un ingresso nella Nato (non sappiamo quanto concordata con gli Stati Uniti) è stata vissuta come una provocazione da Putin, accanto alle politiche decisamente repressive applicate contro le popolazioni russofone di confine. L’Europa, con realismo, avrebbe dovuto rispondere con il via libera all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, escludendo che questo avrebbe portato al suo ingresso nella Nato. Poi la situazione si è deteriorata e ne è scaturita l’aggressione, in violazioni del diritto internazionale, da parte di Putin. Ma Kissinger, ormai centenario, a ridosso del conflitto, con saggezza aveva visto giusto, suggerendo il suo “no” all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, mentre la strada era appunto una sua adesione al progetto dell’Unione.
Poi perché gli Usa hanno sposato la “virata” di Trump?
I costi della guerra erano una follia non più perseguibile. Questa guerra è costata un mucchio di miliardi ed è folle prospettare come ha fatto Zelensky un suo proseguimento «per anni».
Che cosa si può fare, ora?
Si può fare quello che non si è fatto prima, accelerare l’ingresso dell’Ucraina nella Ue: è il modo migliore per dare un contributo alla pace. E forse è anche l’occasione per chiedersi che cosa si intende per Europa unita.
De Mita diceva che Kohl convinse tutti che la moneta unica avrebbe portato all’unione politica, ma si sbagliava.
Ho sostenuto questo stesso concetto in un incontro in cui c’era anche Prodi, che mi ha replicato ricordando tutta la fatica che c’era voluta per convincere la Germania a rinunciare al marco.
Da che cosa bisognava partire, invece?
Firmai a suo tempo un appello per il riconoscimento delle radici giudaico cristiane. Ma l’idea fu bocciata dal presidente della Convenzione europea Giscard D’Estaing, che aveva Giuliano Amato fra i suoi vice. E fu un errore.
I cattolici possono contribuire?
Debbono farlo, riprendendo quell’idea. La strada tracciata dal cardinale Zuppi di una “Nuova Camaldoli europea” mi pare vada in quella direzione. Se non è riuscita la guerra in Ucraina a rilanciare l’Europa unita potrebbe riuscirci ora la necessità di dare un contenuto condiviso alla pace.