«La situazione non è preoccupante». Ad abbassare il clamore degli ultimi giorni attorno ai numerosi casi di West Nile interviene Giorgio Palù, presidente delle Società italiana ed europea di virologia. «Anzitutto è un’infezione che nell’80% dei casi non dà nemmeno segno si sé. In secondo luogo, colpisce l’uomo come ospite occasionale senza possibilità di trasmissione da uomo a uomo nemmeno in caso di puntura di zanzara, come avviene con altri flavivirus come Dengue e Zika». È pur vero tuttavia che, nonostante non sia aggressivo nell’1% dei casi, nei soggetti più gracili, può provocare meningo- encefaliti e morte «tanto che alla sua prima comparsa in Europa ci sono state decine di morti in Ungheria, così come in Grecia nel 2010».
Perché tutte queste vittime quest’anno in Italia?
I fattori sono tre. L’infezione ha il suo serbatoio negli uccelli, quindi bisognerebbe tener conto della loro immunità o suscettibilità nei confronti del virus. Virus che poi muta e può essere in grado di superare la risposta immunitaria dell’ospite naturale. Infine c’è il vettore- zanzara, la Culex Pipiens, presente anche nelle nostre case, diversa dalla Aedes Albopictus, detta anche zanzara tigre. In Veneto per esempio, secondo i monitoraggi degli entomologi dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie, a inizio stagione il virus era presente nel 30 per cento delle zanzare, un dato significativo. Le zanzare poi sono proliferate in maniera eccezionale per le condizioni assai favorevoli di pioggia in primavera e caldo secco d’estate che si prolunga ancora.
Com’è arrivato da noi il virus?
L’infezione è endemica in Veneto dal 2008 e si è estesa progressivamente al bacino fluviale del Po, quindi Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte. L’abbiamo individuata monitorando i donatori di sangue e di organi, perché si trasmette attraverso trasfusioni e trapianti. Su otto linee evolutive, fino al 2011 abbiamo avuto solo casi del lignaggio 1, lo stesso che dal 1999 a causa di un volo aereo Tel Aviv-New York si è diffuso in tutto il Nord America.
Esistono cure o vaccini?
Non ci sono farmaci efficaci come non ce ne sono per Dengue, l’encefalite giapponese o la febbre gialla. Per queste però esistono dei vaccini, non così per West Nile, anche se ne abbiamo sperimentato uno efficace nelle scimmie. Il tipo di malattia e i bassi numeri del contagio non attirano l’interesse dell’industria farmaceutica necessaria a svilupparlo.
Significa che stiamo dedicando troppa attenzione a West Nile mentre ci sono infezioni più pericolose?
Proprio così. È il caso di Chikungunya, che provoca emorragie, dolori reumatici e articolari, anche meningite. L’anno scorso ha fatto 200 casi a Roma e nel Lazio. C’è poi Dengue – da 50 a 100mila morti l’anno nel mondo per gravi emorragie – che ha la zanzara tigre come vettore e potrebbe diventare endemico, come è già avvenuto nella Camargue in Francia, in Croazia, in Portogallo. Infine, il virus di Crimea Congo (20% di mortalità) che al momento non abbiamo, ma è endemico nel Caucaso in Turchia e noi abbiamo il vettore, lo ieloma. Il mondo è globalizzato: West Nile deve essere un campanello d’allarme sulla pericolosità di altri virus. Dobbiamo tenere la guardia alta.