E' un grido di dolore contro la criminalità, ma anche un invito a non rassegnarsi, ad alzare la testa e a dire «basta». Con il cardinale Crescenzio Sepe, i preti di Barra, Forcella, Ponticelli, Sanità, San Giovanni a Teduccio, Scampia, Secondigliano: tutti quartieri di Napoli in cui baby boss senza scrupoli, in questi ultimi mesi, hanno diffuso paura e morte. Ieri sera in cattedrale, guidati dal loro pastore, sacerdoti e religiosi hanno voluto «gridare con il popolo, con i giovani, le mamme e i lavoratori onesti – ha sottolineato Sepe – che vogliono vivere nella legalità, nella giustizia e nella pace». Troppe lacrime senza ragione, troppe famiglie devastate si interrogano senza trovare risposte. In duomo si legge la lunga lista delle vittime di una “guerra” che sta insanguinando le strade della città. Sepe parla di «strage degli innocenti, causata dalla scelleratezza dell’uomo». Dopo l’omicidio di Genny Cesarano, 17 anni, al rione Sanità, i parroci dei quartieri più in difficoltà, si sono riuniti in questi ultimi due mesi, stanchi di veder omicidi nelle loro strade e hanno deciso di far fronte comune. Hanno scritto una lettera, diffusa alla vigilia della celebrazione di ieri, nella quale si impegnano «ad accompagnare il popolo nella richiesta di giustizia e di normalità per i loro martoriati quartieri». «Una sola vita umana che si spegne per un atto di violenza è offesa a Dio ed è manifestazione di inciviltà e di barbarie», ribadisce l’arcivescovo, durante la celebrazione che è preghiera e denuncia. Così Sepe lancia un appello forte: alle Istituzioni, a cui chiede di «fare ogni sforzo per dare sicurezza e serenità ai cittadini, soprattutto in quei territori che presentano particolari criticità di ordine pubblico». Ai camorristi, affinché si pentano e depongano le armi. «Lasciate la strada della perdizione! Pensate ai vostri figli e ai vostri cari, che spesso pagano un prezzo troppo alto per colpa vostra», è l’invito del pastore che ribadisce: «Non c’è disonore. Anzi ravvedersi significa comportarsi da uomini veri, significa far prevalere lo spessore morale, significa salvare la propria vita e quella degli altri». E, in particolare, l’arcivescovo si rivolge ai “baby boss”: «Rincorrete falsi idoli, per dimostrare forza e potenza, per brama di danaro. State sprecando gli anni più belli della vostra esistenza. Vi dico con cuore di padre: siete ancora in tempo per cambiare. La strada imboccata è senza futuro, rischiate di essere uccisi e con voi, magari senza colpa alcuna, anche i vostri familiari». «La vostra morte non lascia traccia – sono le dure parole del pastore – ma il sangue versato dagli innocenti è linfa di vita nuova, è il lievito di una società più giusta e migliore, apre alla verità, alla giustizia, alla libertà». I parroci dei quartieri più difficili, intanto, parlano di una città spaccata in due. «La comunità cristiana di Napoli è un unico popolo, così come unico dovrebbe essere il modo di amministrare la città. Purtroppo ad oggi – sottolineano i preti – c’è la Napoli “bene” e la Napoli “malamente”». Quarantotto omicidi hanno devastato una parte del territorio, ma non annientato la voglia di riscatto. Sabato 5 dicembre, infatti, si prosegue, con una manifestazione pubblica, nella quale verranno consegnate, a quelli che in questo momento hanno responsabilità di governo, le richieste che stanno emergendo soprattutto dall’ascolto delle mamme dei territori. Significativo che soprattutto le donne dei quartieri più emarginati ed oppressi abbiano iniziato a chiedere per i loro figli telecamere per la videosorveglianza, più scuola e più sicurezza. In Duomo, ieri pomeriggio, tra gli altri, i genitori dell’ultima vittima Genny Cesarano, una rappresentanza di carcerati, (con il delegato diocesano per la pastorale carceraria, don Franco Esposito), il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Carmine Antonio Esposito, il vice sindaco Raffaele Del Giudice.
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