sabato 21 maggio 2016
​Il premio della bontà 2016 a una infermiera che accolse un piccolo abbandonato in ospedale dai genitori, affetto da una grave malattia. Mario morì due anni dopo.
La più «buona» d'Italia, Nadia adottò bimbo malato
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Abbandonato in ospedale dai genitori, una malattia grave gli ha spezzato la vita a meno di 3 anni. È la storia di Mario che ha passato metà della sua esistenza sotto i ferri dei neurochirurgi dell'ospedale pediatrico “Meyer” di Firenze, prima di essere trasferito nel reparto di patologia neonatale all’ospedale di Grosseto.È stato lì, tra quelle le corsie dell'ospedale, che Mario, all'età di 6 mesi, ha incontrato la donna della sua vita, Nadia Ferrari, una madre che lo ha accudito con amore e speranza, chiedendone l'affido e accompagnandolo nel calvario della sua malattia. Per questo gesto di rara umanità, a Nadia Ferrari è stato assegnato il Premio Bontà 2016. Quando Nadia che, all'ospedale di Grosseto lavora come infermiera, vide Mario per la prima volta, il bambino era piccolissimo, coperto da tubicini e drenaggi ed aveva assunto posizioni obbligate dall’ospedalizzazione. Il piccolo passò i primi due anni della sua vita fra le cure del personale dell’ospedale e di un gruppo di volontari, facendo avanti e indietro dall’ospedale di Firenze, dove fu rioperato. Piano, piano, con la fisioterapia, si riuscì a sbloccarlo e a fargli assumere posture più naturali. Cominciò anche a mangiare con il biberon, mentre prima si nutriva con il sondino naso gastrico. Nadia cominciò a lavorare su di lui da subito e quando non era di turno si fermava in ospedale e, quando andava a casa, pensava a lui, quindi tornava per dargli da mangiare, fare la ginnastica o giocare. A Nadia venne il desiderio di adottarlo ma non credeva si potesse fino a quando, confessato ad alta voce il suo pensiero, un’assistente sociale le disse: “Allora perché non lo fai?”.

Cominciarono le pratiche per la richiesta di affido, era l’agosto 2012. A marzo 2013 Mario fu finalmente affidato a Nadia. In ospedale lo accudivano tutti, ma non si poteva dargli il massimo, perché il tempo a disposizione del personale non bastava e c’erano anche altri bimbi da curare. Nadia si mise in aspettativa così a casa, con sua figlia, poteva stimolarlo in continuazione. Lo portarono al mare e in montagna, persino in piscina e i progressi furono immediati: cominciò a mangiare da solo, imparò a tenere sollevata la testa e a muoversi meglio. Insomma dopo un anno e mezzo di vero calvario e vita chiuso tra le mura ospedaliere il piccolo cominciò ad avere una vita quasi normale, in cui c’era spazio per ridere e giocare. Non mancò una grande festa di compleanno per i suoi 2 anni.

Molti tra gli amici e colleghi non sono stati in grado di comprendere che è stata infinitamente più grande la speranza che Nadia aveva ricevuto dal piccolo Mario. Altri hanno persino pensato che non valesse la pena sacrificarsi per un bimbo che sarebbe presto morto. Ma a tutti Nadia ha sempre risposto: «Lo so, soffrirò, ma lo amo e non voglio che sia solo e poi preferisco soffrire per sempre per avere dato a mio figlio Mario l’amore incondizionato di una famiglia, anche per poco, piuttosto che non averlo mai accudito». Nadia avrebbe accolto il piccolo anche se fosse diventato grande, anzi ci sperava tanto che aveva già messo in vendita la casa perché non c’era l’ascensore; sarebbe stato necessario cambiare l’automobile. Ma purtroppo tutto questo non è successo: Mario è morto il 26 gennaio 2014. Nadia ha fatto assaggiare a Mario un po’ più di vita, dopo il calvario in ospedale. Ora a Nadia restano i ricordi: «Gli parlo in continuazione, ci ha confessato Nadia, anche se è dura non poterlo più accarezzare. Se c’è un paradiso, spero che stia correndo e giocando e di arrivarci anch’io un giorno così poi lì ci potremo organizzare meglio, che di tempo ce n’è un’eternità».

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