sabato 20 luglio 2013
​Nel libro “Il viaggio di Vittorio” Egidia Beretta Arrigoni racconta la vita del figlio, uciso a Gaza City nel 2011. «Era un partigiano della pace».
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«Mentre prepari la tua colazione pensa agli altri, non dimenticare il cibo per le colombe». «Questi versi sono del poeta palestinese Mahmoud Darwish, uno dei più amati da Vittorio...», ricorda Egidia Beretta Arrigoni, la mamma di Vittorio Arrigoni, il 36enne attivista della cooperazione internazionale e reporter, rapito e poi ucciso a Gaza City, il 15 aprile 2011, dal gruppo terroristico dell’area jihadista salafita.Ci accoglie così, nella casa di famiglia a Bulciago (Lecco), dove è rimasta a vivere da sola: «Dopo Vittorio se ne è andato anche mio marito Ettore – dice la signora Egidia –. Siamo rimaste noi donne, io e mia figlia Alessandra che viene a trovarmi appena può». La stanza del figlio è rimasta intatta: il poster di David Bowie alla parete, i cd dei Rem e Jeff Buckley sugli scaffali, un libro di Giorgio Manganelli fuori posto. «E questo invece è lo studio dove si rifugiava a scrivere e a leggere – dice mostrando la stanza –, le due cose che amava di più... Ogni volta che partiva, portava con sé pochi vestiti, ma in compenso lo zaino era sempre colmo di libri». Quei viaggi erano le missioni umanitarie del «Vik», un ragazzo che si era speso in prima linea per gli ultimi. Lo aveva fatto «sempre autofinanziandosi», dall’Est Europa al Perù, dall’Africa nera alla striscia di Gaza, lì dove è rimasta la sua anima. Il ragazzo che tutta la Palestina ancora piange. «Mi hanno telefonato due amici da Betlemme per dirmi che anche i muri lì parlano di Vittorio», dice sua madre che lo ha raccontato in un libro di struggente bellezza, Il viaggio di Vittorio (Dalai editore). Un viaggio che non si è interrotto e che grazie a questa pubblicazione sta facendo il giro d’Italia, entrando in scuole e associazioni.«Quando ai ragazzi racconto la storia di Vittorio, rimangono ad ascoltarmi in silenzio, incantati. Però dico sempre: peccato, se Vik adesso fosse qui vi ammalierebbe davvero con il suo entusiasmo». Una vocazione precoce quella del dedicarsi ai più deboli. «Alle elementari scrisse in un tema: “Non devo comandare e non devo essere egoista, ma solo essere d’aiuto agli altri”. Questo è stato il suo messaggio, “andare oltre i confini dell’Io”. Lo sto capendo ora che non c’è più, così come sto scoprendo il valore prezioso del suo lavoro. E sono tante le persone che mi scrivono per farmi sapere che ascoltando, leggendo e vedendo cosa aveva fatto Vik, poi hanno deciso di cambiare la loro prospettiva di vita». Tra questi non ci sono solo i fedelissimi del blog in cui dal 2004 pubblicava i suoi reportage. «L’aveva chiamato “Guerrilla Radio”, ma Vittorio non era altro che un “partigiano di pace”. Nei suoi articoli denunciava le atrocità della guerra e del terrorismo che, ripeteva: “Non ha colore”». I pezzi di approfondimento scritti da Gaza dal dicembre 2008 al gennaio 2009, sono stati raccolti nel libro Restiamo umani (Manifesto). Un titolo che era diventato la sua carta d’identità. «Trovava che il mondo fosse prigioniero dell’egoismo». La mamma di Vik, da nove anni sindaco di Bulciago («Il mio stipendio di primo cittadino lo utilizziamo per progetti socialmente utili») parla con il cuore in mano, animata da una fede incrollabile. «Vittorio non era credente, ma rispettava la mia religiosità, perché anche il suo spirito non era poi così distante dal “francescanesimo”. Un giorno mi confidò che a Cipro incontrando un povero gli aveva donato il suo cappotto. E io che lo rimproveravo: ma guarda che anche San Martino si era tenuto la metà del mantello. E lui: “Mamma, era uno che aveva più bisogno di me”...». Anche questo era Vittorio Arrigoni. E la sua fine ha toccato profondamente il cardinal Dionigi Tettamanzi. «Don Luigi Ciotti in una lettera ha scritto di Vik: “Una vita travasata in tante vite”. E don Celeste Delle Donne mi ha riempito il cuore quando nell’omelia funebre ha detto: “Vittorio, la Chiesa si onora di te”». Cerca di non piangere mamma Egidia, ma confessa che «a volte, il dolore è più forte della speranza». Dolore e speranza si tengono per mano davanti alla tomba nel cimitero di Bulciago, dove ogni settimana mamma Egidia trova delle «lattine vuote di birra a fare da lume», un berretto, delle kefiah, le pipe («Vik le collezionava»), biglietti e qualche lettera, «specie di bambini… A loro piaceva tanto Vittorio». Non a caso il disegnatore brasiliano Carlo Latuff lo ha ritratto con pipa, kefiah e berretto, mentre tiene per mano un bambino che fa il segno della vittoria. «Prima di lasciarci Vik, in un video, citando Nelson Mandela ricordava: “Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare”».
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