Monti versus la politica, capitolo II. Da Tokyo il presidente del Consiglio scrive una nuova pagina di quel rapporto, più articolato e tormentato, che sta vivendo con le forze politiche dopo il varo della riforma del lavoro. Se lunedì aveva ipotizzato un passo indietro dei "suoi" professori nel caso che «il Paese non fosse pronto», ieri ha voluto ricordare che, comunque, il suo governo ha un consenso, e qualcun altro no. Ovvero quei partiti che, in sua assenza, avrebbero raggiunto una prima intesa sulle riforme politiche che non sembra entusiasmare Monti: «Non ho neanche letto i giornali», ha detto. Il suo affondo ha provocato la replica abbastanza brusca di Pier Luigi Bersani, convinto che questo muro divisorio vada abbattuto: «O politici e tecnici convincono insieme il Paese – ha detto il segretario del Pd – o sotto la pelle del Paese ce ne è abbastanza per prendere a cazzotti politici e tecnici». Poco rispettosamente, il dipietrista Massimo Donadi paragona invece Monti a «Bruce Lee: dal Giappone con furore».Per Bersani il dibattito un po’ «stucchevole» fra politica e "tecnica" è come «il battibecco fra i polli di Renzo», nei
Promessi sposi. Il guanto di sfida lanciato dal premier, però, sta lì, come un monito: «Nonostante alcuni giorni di declino, questo governo sta godendo un alto consenso nei sondaggi, i partiti no». Forte di questo assioma, Monti si è detto «fiducioso» che l’intervento sulle norme del lavoro alla fine passerà, anche se ci vorrà un’opera di «persuasione». Concetti che il Professore ha manifestato nel corso di un’intensa giornata nella capitale giapponese, nuova tappa del suo
tour in Estremo Oriente, che l’ha visto intervenire al forum organizzato dal colosso editoriale
Nikkei Shimbun e incontrare il primo ministro Noda (il quale ha testimoniato che Monti «ha ridato credibilità» all’Italia).Sono stati gli stessi giapponesi a chiedergli se si rischia che questa riforma venga bloccata: «Provoca risentimenti e discussioni anche aspre – ha risposto –, ma ho l’impressione che la maggioranza degli italiani la percepisca come un passo necessario nell’interesse dei lavoratori». Monti ha sottolineato che «una parte della riforma è accettata da tutti» e «non stranamente è quella che implica una spesa da parte del governo»; mentre ci sono poi «altre parti che rappresentano una medicina amara da ingoiare, ma che noi riteniamo strettamente complementari affinché sia una buona riforma».Tutto si tiene, quindi, e il governo ha «il dovere di tenere un equilibrio». Poco prima, Monti aveva detto di «sperare» che l’esame parlamentare del testo si concluda «prima dell’estate». Anche perché, al di là della frase sul consenso, Monti ha tessuto anche le lodi dei partiti - e del suo predecessore Berlusconi («Non è facile trovare un primo ministro, non chiaramente sconfitto in Parlamento, che decida di ritirarsi») -, sfatando la tesi che proprio la nascita del suo governo provi l’instabilità del sistema politico italiano. In ogni caso, con un occhio agli investimenti in Italia (a pranzo Monti ha visto il direttivo di Keidanren, la Confindustria nipponica), il premier ha aggiunto che «noi dovremmo essere, e saremo, una breve eccezione», poi «tornerà la politica», ma con partiti «diversi perché più consapevoli che c’è una domanda di
governance» da parte degli italiani che «sono molto più maturi di quello che loro pensavano».