I mafiosi non gradiscono. Né che durante la festa di San Rocco si parli di legalità. Né che il parroco definisca pubblicamante la ’ndrangheta «la peggiore piaga della Calabria». E aggiunga che «abbiamo invitato a parlare degli esperti che ci spieghino come curare questa piaga». Così ancor prima dei colpi di pistola, a don Giuseppe erano arrivati precisi messaggi. Uno, bene visibile, durante il primo incontro sul sagrato della chiesa dedicata a San Rocco, col magistrato Vincenzo Macrì, oggi procuratore generale ad Ancona dopo decenni di impegno in Calabria. Tema “Locride, economia drogata. Influenze del narcotraffico sul territorio: informazione, azione e speranza”. È il 23 agosto, mentre parla il magistrato, affiancato da don Giuseppe e dal responsabile di Libera Locride, Francesco Rigitano, due esponenti della cosca locale degli Ierinò passano in auto nella piazzetta. Prima uno e poi l’altro. Rallentano e osservano. Addirittura per farli passare è necessario spostare le transenne che delimitano la zona riservata all’incontro. Un caso? Una coincidenza? «Con la ’ndrangheta non ci sono mai coincidenze», ci aveva spiegato un inquirente nell’immediatezza del fatto. E infatti il giorno dopo, ci aveva riferito il parroco, «dei loro emissari sono venuti a lamentarsi: “Ma cosa c’entrano questi incontri con San Rocco?”». Già l’avevano fatto lo scorso anno quando per la prima volta le celebrazioni religiose della festa di San Rocco erano state precedute dagli incontri sui temi della ’ndrangheta. Ma don Giuseppe certo non arretra. E introducendo il secondo dibattito, dedicato proprio al tema “Tra sacro e profano. L’intreccio oscuro sotteso alle feste patronali che mortifica le celebrazioni stesse”, aveva riferito pubblicamente delle insistite lamentele. Rinviandole al mittente. «San Rocco curava le piaghe. E la ’ndrangheta è la peggiore piaga della nostra terra». Proprio per questo, aveva spiegato, «abbiamo invitato delle persone che questo fenomeno lo conoscono bene, meglio di noi. Sono come dei medici che ci aiuteranno a guarire, a sconfiggere questa piaga». Sul palco, a parlare a una piazza sempre più piena, don Pino Demasi, vicario della diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, il prefetto di Vibo Valentia, Luisa Latella e il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma. Tre calabresi, persone da anni in prima linea nella lotta alle cosche. Da loro arrivano parole forti. Veri e salutari pugni allo stomaco che i cittadini di Gioiosa Jonica ascoltano in un silenzio di partecipazione, rotto da forti e scroscianti applausi. Troppo per la ’ndrangheta.