lunedì 5 ottobre 2009
Secondo il giudice di Milano Raimondo Mesiano il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è "corresponsabile della vicenda corruttiva" che portò il gruppo Mondadori sotto il controllo della Fininvest. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale civile ha riconosciuto alla Cir di Carlo De Benedetti un risarcimento da 750 milioni di euro a carico della holding della famiglia Berlusconi.
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Silvio Berlusconi è «corresponsabile della vicenda corruttiva» che portò alla sentenza con cui la Mondadori fu assegnata alla Fininvest. Lo scrive il giudice Raimondo Mesiano - in difesa del quale ieri sono scesi in campo quindici consiglieri del Csm che hanno chiesto al Comitato di presidenza di aprire una pratica per tutelare il magistrato milanese dopo i giudizi espressi dal premier e da esponenti del Pdl - nelle 140 pagine di motivazioni con cui condanna la holding della famiglia Berlusconi a pagare 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti. È infatti «da ritenere - scrive - “incidenter tantum” e ai soli fini civilistici del presente giudizio, che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della vicenda corruttiva per cui si procede». Il che comporta, «come logica conseguenza», la «responsabilità della stessa Fininvest», questo «per il principio della responsabilità civile delle società di capitali per il fatto illecito del loro legale rappresentante o amministratore, commesso nell’attività gestoria della società medesima». In proposito, sottolinea il magistrato, «vale osservare che i conti All Iberian e Ferrido erano conti correnti accesi su banche svizzere e di cui era beneficiaria economica la Fininvest. Non è quindi assolutamente pensabile che un bonifico dell’importo di Usd 2.732.868 (circa tre miliardi di lire) potesse essere deciso ed effettuato senza che il legale rappresentante, che era poi anche amministratore della Fininvest, lo sapesse e lo accettasse». «In altre parole - conclude Mesiano -, il tribunale ritiene qui di poter pienamente fare uso della prova per presunzioni che nel giudizio civile ha la stessa dignità della prova diretta (rappresentazione del fatto storico). È, come è noto, la presunzione un argomento logico, mediante il quale si risale dal fatto noto, che deve essere provato in termini di certezza, al fatto ignoto».Quanto al «rapporto tra Fininvest e la corruzione del giudice Metta», spiega Mesiano, «in primo luogo va messo in evidenza che la provvista di danaro, con il quale fu corrotto il giudice Metta proveniva, come si è visto, dal conto corrente Ferrido di Fininvest. In secondo luogo, si è visto che Fininvest prese parte attiva alla controversia fra Cir ed i Formenton intervenendo nel giudizio di impugnazione del lodo Mondadori innanzi alla corte d’appello di Roma». «Infine - conclude - è vero che la corruzione del giudice Metta rifluì a tutto vantaggio di Fininvest, che - grazie alla sentenza ingiusta resa dalla corte di appello di Roma - ebbe la possibilità di trattare con Cir la spartizione del gruppo L’Espresso Mondadori da posizioni di forza a fronte del correlativo indebolimento della posizione dell’attrice» che va risarcita perché subì il «danno di perdita di chance».Danno causato, appunto dall’«ingiusta» sentenza redatta dall’ex giudice Vittorio Metta, condannato per corruzione in atti giudiziari sia per il Lodo Mondadori che per il caso Imi-Sir. Ciò nonostante «nessuno può dire in assoluto quale sarebbe stata la decisione che un collegio nella sua totalità incorrotto, avrebbe emesso: si vuole cioè dire che una sentenza ingiusta avrebbe potuto essere emessa anche da un collegio nella sua interezza non corrotto. Proprio per questo - conclude - appare più aderente alla realtà del caso in esame determinare il danno subito da Cir come danno da “perdita di chance”: vale a dire, posto che nessuno sa come avrebbe deciso una Corte incorrotta, certamente è vero che la corruzione del giudice Metta privò la Cir della chance di ottenere da quella corte una decisione favorevole». Chiarito questo il tribunale ha stabilito il risarcimento di circa 750 milioni di euro valutando come «congruo» l’80% di un danno di 937,4 milioni complessivi. Tale somma deriva a sua volta da un danno di 312,9 milioni (di cui 8,2 per spese legali e 20,7 per lesione dell’immagine imprenditoriale) su cui vengono poi calcolati gli interessi. La Cir aveva invece chiesto 468,8 milioni (oltre a rivalutazioni e interessi) e una valutazione della perdita di chance pari all’87%.
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