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Il livello di civiltà di uno Stato si misura dall’attenzione con cui vengono accolti e aiutati i cittadini più fragili. I minori senza famiglia o che, per i più diversi motivi, sono costretti a vivere fuori dal nucleo familiare d’origine sono certamente tra le persone più vulnerabili e verso le quali si dovrebbe usare tutte le attenzioni possibili. Succede davvero così? Non sempre, purtroppo. Tanto che nel nostro Paese il sistema di protezione e di tutela di bambini e ragazzi è da tempo sotto accusa. Una situazione messa in luce non soltanto da alcuni clamorosi casi di cronaca, ma anche dalle ultime relazioni al Parlamento dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Di quanto sia urgente e complesso il problema è prova evidente anche l’interminabile elenco degli argomenti all’ordine del giorno della Commissione parlamentare di inchiesta sulle comunità di tipo familiare che accolgono i minori fuori famiglia, presieduta dalla leghista Laura Cavandoli. Tantissimi i fronti da indagare, secondo la commissione istituita da una legge proposta da Stefania Ascari (M5S): dalle strutture d’accoglienza, ai metodi di allontanamento dei minori dalle famiglie d’origine, dalle procedure d’ascolto, dal ruolo dei servizi sociali alle inadeguatezze del diritto minorile. I lavori della commissione, dopo aver assolto le procedure preliminari, sono partiti da qualche settimana ed entreranno nel vivo a settembre, quando saranno definite le liste degli esperti da convocare nelle varie audizioni e quello, altrettanto delicato, e dei consulenti. L’auspicio è che la scelta non sia dettata da qualche riedizione del 'metodo Cencelli' ma solo dall’esperienza e dalla competenza dei protagonisti.
Si tratta in sostanza di rivedere l’intero sistema sociale, giuridico ed educativo per i bambini e i ragazzi più sfortunati. Perché partire dalle strutture d’accoglienza? Perché sulle circa tremila realtà definite impropriamente 'case famiglia' che accolgono oltre 21mila bambini e ragazzi si concentrano da tempo polemiche e sospetti. Diverse e non sempre facili da definire anche le responsabilità. Anche perché, in assenza di una legge quadro nazionale, ogni Regione definisce a proprio modo le sette tipologie stabilite per queste strutture, rendendo quasi impossibile il confronto statistico e i contenuti educativi degli interventi decisi per ciascun ragazzo.
Altro capitolo nebuloso è quello dei costi. Quanto spendono le amministrazioni pubbliche per ogni minore accolto in comunità? Dalle varie relazioni rimbalzano cifre – da 50 a 400 euro al giorno – che è sempre difficile verificare. Come la durata dei progetti per ciascun minore e la qualità e la frequenza degli incontri con i familiari.
Una delle accuse emerse in questi mesi è poi il conflitto di interesse tra strutture di accoglienza ed esperti (psicologi, pedagogisti, neuropsichiatri, ecc) che figurano anche nell’elenco dei periti presso i tribunali minorili. Evidentemente si dovrà indagare anche in quella direzione. Anche perché la scelta di collocare un bambino presso una comunità piuttosto che un’altra non spetta ai tribunali minorili ma ai servizi sociali, che però non dipendono dal sistema giudiziario ma dalle amministrazioni locali. E anche su questo punto le contestazioni non si contano più.
Quando poi i servizi sociali agiscono in cooperativa – come avviene quasi ovunque in base alla legge Turco che offre questa possibilità ai Comuni al di sotto dei 15mila abitanti – le verifiche sono di fatto impossibili. I controlli presso le varie strutture d’accoglienza spettano alle procure minorili, o direttamente o attraverso le Asl, ma le carenze di organico da una parte e l’assenza di digitalizzazione di questi uffici dall’altro, rendono le verifiche, quando vengono fatte, episodiche e inefficaci, come dimostrano decine di episodi in questi ultimi anni (l’ultimo di una lunghissima serie quelle delle cooperative Serinper in Toscana).
Ma al di là di procedimenti per la tutela e l’affidamento dei minori troppo spesso segnati da tragiche devianze, al di là di procedure condotte con metodi contestabili e con un eccesso di discrezionalità, non esistono criteri per valutare la qualità dei progetti educativi riservati ai minori accolti nelle strutture e non c’è una legge che stabilisca quale tipo di professionalità devono disporre gli educatori che si occupano di bambini e ragazzi già gravati da situazioni dense di ansia e di sofferenza. Lauree in psicologia o pedagogia? Non basta, come confermano le ricerche che si sono occupate del tema. In Italia un master post laurea per educatori specializzati in comunità d’accoglienza per minori fuori famiglia esiste solo a Milano Bicocca. Ma è appena partito e non si può pensare che le circa tremila 'case famiglia' attingano tutte da un unico serbatoio. Quindi? Chi sono oggi questi operatori? Che professionalità garantiscono? Che contratti hanno?
Tante, delicatissime e importanti, come si vede, le questioni che dovranno essere affrontate. E non si potranno tollerare superficialità. Lo esigono l’attenzione per il futuro dei 8.365 minori che ogni anno dati ministero della Giustizia vengono allontanati in Italia e di cui le procure nell’88% dei casi ignorano la destinazione. Ma anche per i disegni di legge collegati a questa inchiesta - da cominciare da quello sull’affido - chiamati a trovare rimedio alle troppe storture e inadeguatezze presenti nel nostro sistema di tutela e protezione dei minori e all’ordinamento collegato.