Una madre con due figli alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, nella foto scattata da un attivista polacco - .
In ordine sparso, ciascuno per sé, ma con lo stesso obiettivo finale, quello di rendere le proprie frontiere, esterne o interne che siano per l’Unione, ancora più invalicabili. Tra i Paesi dell’Ue c’è una rincorsa alla reintroduzione temporanea dei controlli ai confini, all’istituzione di stati d’emergenza che permettano di “adattare” le leggi nazionali e “normalizzare” i respingimenti alle frontiere. «Dobbiamo tornare a gestire la nostra politica di asilo!» ha scritto su X il 18 settembre la ministra olandese Marjolein Faber, mentre il suo governo inviava a Bruxelles una richiesta di esenzione dalla politica migratoria Ue. Nemmeno il tempo di vedere attuato il nuovo Patto su migrazione e asilo approvato ad aprile, che già c’è chi chiede di derogarvi. Nella stessa settimana, la Germania ha avviato i controlli lungo tutti i propri confini nazionali.
Dei ventinove Paesi dello spazio Schengen, oggi sono in otto, Italia compresa, ad avere ristabilito parzialmente o del tutto i controlli (gli altri sono Austria, Slovenia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Francia e, appunto, Germania). A pochi giorni dalle elezioni del 29 settembre in Austria, il cancelliere Karl Nehammer ha fatto sapere che se Berlino introduce misure per rimandare indietro più migranti dal confine condiviso, Vienna farà lo stesso, verso i Balcani. Intanto, a luglio, in Finlandia il Parlamento ha approvato una legge che, in determinate circostanze, consente alle guardie di frontiera di respingere le domande di asilo di chi cerca di entrare dal confine russo (afghani, somali, siriani, …).
Accade lo stesso in Polonia sin dal 2021, da quando Varsavia ha approvato emendamenti legislativi in base ai quali una persona sorpresa a entrare irregolarmente può essere obbligata a lasciare il territorio polacco per decisione della Guardia di frontiera. Gli attivisti della coalizione Grupa Granica riferiscono di documenti in polacco, non tradotti, fatti firmare ai migranti che dichiarano, senza esserne consapevoli, di non volere chiedere asilo in Polonia.
La barriera al confine tra Polonia e Bielorussia - .
Contro i tentativi di rendere conforme alle leggi nazionali ciò che però viola la Convenzione sui rifugiati del 1951 e quella europea sui diritti dell’uomo (ad esempio i divieti di trattamenti inumani o degradanti e di espulsioni collettive) si era espressa già tre anni fa Dunja Mijatoviæ, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa di Strasburgo. «Gli Stati membri devono (…) opporsi chiaramente ai tentativi di legalizzare questa pratica illegale», concludendo «qualsiasi iniziativa legislativa o politica che si tradurrebbe nel tentativo di normalizzazione dei respingimenti».
Da allora, però, anche Lettonia e Lituania hanno introdotto misure di emergenza che di fatto “legalizzano” i pushback, i respingimenti. «Codificando ciò che è illegale (…), il governo (lituano) calpesta diritti e obblighi internazionali» ha denunciato Amnesty International. Risalgono addirittura al 2016 e al 2017 emendamenti alla legge ungherese per i quali, in uno stato di emergenza (esteso di continuo), chi si trovi irregolarmente in Ungheria può essere respinto in Serbia. Sia la Corte europea dei diritti dell'uomo che la Corte di giustizia Ue hanno stabilito che le pratiche di Budapest violano il divieto di espulsione collettiva. Nel frattempo, proseguono immutati i pushback su diversi confini dove questi abusi sono da anni abituali. A luglio, il Comitato anti-tortura del Consiglio d'Europa (Cpt) ha chiesto nuovamente alla Grecia di porvi fine, dopo nuove accuse “credibili di espulsioni forzate informali, spesso violente, attraverso il fiume Evros o verso la Turchia”.
Un report diffuso il 13 settembre dal Border Violence Monitoring Network (Bvmn) riferisce intanto che «altri fondi di sovvenzioni legate alla prospettiva di adesione all'Ue o a Schengen saranno utilizzati per acquistare più droni, telecamere e sistemi di sorveglianza in Serbia e Bulgaria, nonostante le prove del ruolo di queste tecnologie nel perpetrare violenze». Fra le ultime testimonianze pubblicate dal Bvmn, si ritrovano racconti simili a quelli già ascoltati centinaia di volte dal 2015 a oggi.
«Hanno sguinzagliato il cane contro di noi e ci hanno colpito con i “bastoni elettrici”» ha riferito un ventenne afghano, respinto a giugno dalla Bulgaria alla Turchia con altri connazionali, tra cui minori. È stata invece rimandata indietro dalla Croazia alla Bosnia, con i suoi bambini di 3 e 10 anni, una donna afghana fermata da una decina di poliziotti croati. Al Bvmn ha spiegato: «A mio figlio spaventato e che piangeva ho detto, per consolarlo, che quello era solo un gioco».