Uno è stato ministro degli esteri vaticano per tredici anni, l’altro è il punto di riferimento dell’Islam moderato in Francia ed entrambi arrivano da Bordeaux, un autentico laboratorio d’integrazione: dati i presupposti, il tema del confronto di Rimini tra il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e l’imam della Moschea di Bordeaux – «chi crede s’incontra» – era quasi scontato, ma il cardinale Jean Louis Tauran e il professor Tareq Oubrou si sono spinti molto più in là delle aspettative, arrivando a ipotizzare un’agenda di lavoro comune. Il porporato è stato particolarmente esplicito: «In Europa – ha detto ieri mattina – dobbiamo unire le nostre capacità e le nostre strutture per migliorare la situazione: combattere insieme l’anonimato e i ghetti nelle città; aiutarci a vicenda a condividere emozioni e iniziative culturali per coltivare il bello nei momenti di svago; impegnarci nell’educazione, perché il rispetto per le differenze si apprende in famiglia e a scuola; promuovere l’ospitalità, perché nelle società multiculturali i credenti hanno un potere da esercitare, quello del cuore, e sanno accogliere, ascoltare, capire e agire». Poco prima Oubrou aveva tratteggiato un mondo trasformato da Internet e da sistemi di trasporto sempre più veloci: «oggi l’umanità è di fatto unita: la pur minima crisi in una regione qualsiasi ha ripercussioni immediate a livello planetario». In questo contesto la desecolarizzazione – «anche la scienza, ha osservato, è entrata in una crisi epistemologica senza precedenti ed è entrata in una fase indeterministica e con il principio di Heisenberg ha dovuto dismettere la propria arroganza, non riesce più a rispondere ai quesiti filosofici e teologici» – pone il problema opposto a quello con cui ci si è misurati nel XIX secolo, cioè oggi bisogna evitare la deriva in una "irrazionalità irragionevole". La ricetta di Oubrou è quella di «restare ancorati alla spiritualità dando peso alla razionalità». Inequivoca l’assonanza di quest’impostazione con la teologia di Benedetto XVI: «Restare radicati alla propria tradizione in quanto solo così si è in grado di essere aperti al mondo», ha sottolineato l’imam francese. Analoga la formula usata poco dopo da Tauran: «Il dialogo interreligioso comincia affermando la propria identità religiosa». Prima di loro aveva preso la parola al Meeting il monaco buddhista Shodo Habukawa, docente alla Koyasan University e grande amico di don Giussani. Anche per lui i punti di contatto su cui fondare un dialogo concreto ci sono: «Il buddismo shingon – ha detto – ritiene che la capacità di osservazione autentica produca un’attitudine compassionevole nei confronti di tutti gli esseri; monsignor Giussani esprime la capacità di comprendere il livello autentico del mondo fenomenico, oggetto della conoscenza e dell’esperienza umana, come capacità di sviluppare un amore che va oltre l’amore di sè». Su questa lunghezza d’onda, Oubrou ha insistito sul tema dell’odio religioso, definendolo una conseguenza della "superficialità" con cui sovente si aderisce alla propria tradizione religiosa. Ecco il suo messaggio per il mondo musulmano: «L’unione con l’altro, la diversità è nel Corano, è un dato divino che bisogna coltivare. La diversità è uno dei segni della Creazione. Abbiamo bisogno di una teologia della diversità che colleghi tra loro i segni di Dio». Tra questi segni c’è anche la «dignità della vita umana»: chi uccide un uomo «uccide tutta l’umanità» ha aggiunto, richiamandosi a una tolleranza consapevole: «più lavoriamo sulla nostra convinzione spirituale e più saremo tolleranti» ha spiegato l’imam, auspicando una «geoteologia che prevenga la violenza». Similmente a lui si è espresso Tauran, il quale ha insistito particolarmente sulla «crisi dell’intelligenza e della trasmissione dei valori» invocando la costruzione di una «pedagogia del vivere assieme» partendo dalla dimensione comunitaria di tutte le religioni, l’elaborazione di una proposta etica «contribuendo assieme ad abbattere i muri che la paura dell’altro ci ha fatto elevare», iniziative comuni che diano «un volto concreto all’accoglienza», un percorso di formazione dei cittadini e infine una testimonianza anche politica, che «non si limiti a diffondere valori umanistici». Il cardinale l’ha detto chiaramente: «i credenti devono dare conto della loro fede ed è indispensabile che l’interrogativo Dio rimanga all’orizzonte delle società secolarizzate». Concludendo con un appello ai cattolici: «dicono che siamo una minoranza. Ammesso che sia così, siamo una minoranza che conta. Ritroviamo l’orgoglio di essere cattolici. Osiamo».