Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, interviene alla cerimonia commemorativa del centenario dellassalto fascista alla sede della Federazione delle Cooperative a Ravenna - Ansa / Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica
Il capo dello Stato - salutato con lunghi applausi nel Teatro Alighieri - evita riferimenti alla anomala campagna elettorale estiva appena iniziata, ma le sue parole pesano, non solo come rievocazione. Quando invita a non dimenticare quella «pagina di violenza, di devastazione e di morte» che avrebbe portato «alla perdita della libertà per gli italiani, con l’avvio della stagione buia della dittatura fascista». Mattarella ricorda a tutti che «la libertà di cui godiamo, la democrazia che è stata costruita, l’uguaglianza e la giustizia che la Costituzione ci prescrive di ricercare sono tutte figlie di una storia sofferta e di generazioni che le hanno conquistate con dolore, sacrificio, impegno». La democrazia, ribadisce, «nasce da questa diffusa coscienza della responsabilità di ciascuno nella difesa delle comuni libertà». L’assalto alla centrale delle cooperative di Ravenna avvenne la notte tra il 27 e il 28 luglio del 1922. Nullo Baldini, deputato socialista, ricorda Mattarella, protagonista del cooperativismo di lavoro nel Ravennate, «fu portato a forza fuori dall’edificio che venne dato alle fiamme». Filippo Turati, «che aveva deciso di provare la strada di una coalizione antifascista» contravvenendo al divieto di dialogo con i partiti "borghesi", «per quella sua salita al Quirinale sarà poi espulso dal Partito socialista, insieme all’ala riformista». E questa mancata collaborazione fra le «forze costituzionali e popolari» portò, come esito, alla caduta del governo: «I parlamentari fascisti votarono a favore della mozione al fine di provocare le dimissioni di Facta e fu lo stesso Mussolini a prendere la parola nell’aula di Montecitorio», pronunciando un discorso minaccioso. «Il fascismo - avvertì - dirà tra poco se vuole essere un partito legalitario, cioè un partito di governo, o se vorrà invece essere un partito insurrezionale, nel qual caso non solo non potrà più far parte di una qualsiasi maggioranza di governo, ma probabilmente non avrà neppure l’obbligo di sedere in questa Camera». Mattarella sottolinea anche l’importanza del movimento cooperativo, che «è stato ed è un soggetto della democrazia economica, un vettore di progresso. Un protagonista, insieme ad altri, di quel sistema produttivo e di servizi plurale che ha reso la nostra economia una delle più avanzate al mondo». E «quando le formazioni intermedie vengono compresse, costrette al silenzio, è l’intera impalcatura delle libertà e dei diritti che viene compromessa». Nessun accenno, nemmeno indiretto, al clima della campagna elettorale. D’altronde Mattarella aveva annullato anche la cerimonia del Ventaglio (sostituita mercoledì dalla semplice consegna da parte del direttivo), tradizionale appuntamento con la stampa parlamentare che precede le ferie estive, in cui le domande dei giornalisti per forza di cose, avrebbero toccato il tema della rottura del patto di «salvezza nazionale» all’origine del governo Draghi. Ma l’amarezza di Mattarella è nelle cose, sia pur destinata a non esser manifestata. Accettato il secondo mandato contravvenendo alle sue convinzioni, anche di giurista, su invito di un fronte amplissimo di forze politiche, si è trovato in pochi mesi a veder franare tutti quei propositi che erano stati la premessa della sua accettazione. Venendo meno anche quel governo di solidarietà nazionale alla cui prosecuzione era stata ricollegata da parte dei partiti, e dello stesso Draghi, la richiesta per un nuovo settennato.