Rinviare il matrimonio causa emergenza coronavirus o decidere di sposarsi ugualmente con una cerimonia intima, alla presenza dei soli testimoni? Ogni scelta è rispettabile e i dati, al momento, non permettono di capire quanti fidanzati abbiano deciso di festeggiare le nozze, già programmate, in autunno o addirittura il prossimo anno. Le poche statistiche diffuse sembrano prendere in considerazione campioni troppo ristretti per essere del tutto affidabili.
A parere di un sondaggio diffuso dagli organizzatori di eventi – i cosiddetti wedding planner – il 51% delle coppie avrebbe deciso di mantenere la data fissata. Altri dati arrivano da Unimpresa Moda, secondo cui 7 fidanzati su 10 avrebbero già rinviato le nozze al prossimo anno, con un impatto negativo stimato sui ricavi (abbigliamento, video e fotografie, bomboniere, addobbi floreali, ristorazione, ecc) stimato in centinaia di migliaia di euro. Ma torniamo alla domanda iniziale.
Giusto rinviare le nozze alla luce delle restrizioni alle celebrazioni “con concorso di popolo” imposte dal protocollo proposto dalla Cei e approvato dal governo? Oppure più comprensibile la scelta di coloro che hanno privilegiato il sacramento rinunciando alla festa? Premessa indispensabile: non esiste una soluzione vincente per tutti.
Ogni decisione va valutata alla luce di circostanze specifiche, situazioni personali, tradizioni familiari il cui intreccio darebbe luogo a una casistica infinita. Padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale familiare, invita a cogliere il lato positivo connesso ad entrambe le scelte. «Se è molto bello pensare che ci siano fidanzati che, alla luce della circostan- ze di questi mesi, hanno deciso di puntare tutto sulla dimensione sacramentale – osserva – è altrettanto comprensibile la decisione di coloro che non intendono rinunciare alla festa, che è poi la parte sociale di una cerimonia che vive allo stesso tempo, del momento liturgico e di quello pubblico».
Pensare di scindere i due aspetti, puntando tutto sull’aspetto sacramentale o, al contrario, attribuendo un valore spropositato a tutto il resto – abiti, fiori, banchetto – significa rifugiarsi in un giudizio sbilanciato. «Ci sono due fidanzati che desiderano comunque sposarsi perché ritengono che il loro rapporto sia arrivato a un punto tale di aver bisogno della compagnia sacramentale del Signore? Benissimo. Non può che essere una scelta lodevole – osserva ancora il direttore dell’Ufficio famiglia Cei – perché significa che quei due giovani ci restituiscono il senso profondo di un amore che trova la sua centralità nella fede». Del resto sarà sempre possibile organizzare la festa anche da sposati, magari tra sei mesi o un anno, facendo comunque memoria delle nozze celebrate nel corso di una Messa, anche con una nuova benedizione degli anelli. Le circostanze che inducono a questa scelta sono molteplici. Una sposa non più giovanissima – caso ormai abituale – che desidera aprirsi alla vita prima che il suo orologio biologico cominci a perdere colpi ma che, allo stesso tempo, ritiene corretto che il padre di suo figlio sia anche suo marito di fronte a Dio, fa benissimo a non rinviare il matrimonio.
«D’altra parte – sottolinea ancora padre Vianelli – è comprensibile anche la posizione di coloro che fanno fatica a rinunciare alla festa, alla presenza della famiglia e degli amici. Anche dal punto di vista ecclesiale il matrimonio non si può ridurre solo alla dimensione liturgica o peggio, a una scelta intimistica. Giusto pensare che l’amore per sempre sia un dono da partecipare e da condividere in una circostanza collettiva». Ce lo conferma, per esempio, l’esordio pubblico di Gesù alle nozze di Cana. Il suo primo miracolo si può leggere anche con il desiderio di sottolineare il valore di una festa che, senza vino, rischia di svanire in modo improprio. Ed è il Signore stesso che ci dona quel vino. Simbolico sì, ma anche concreto. Anche il catechismo spiega che il matrimonio, come l’ordine, è sacramento ordinato alla salvezza altrui. E se contribuisce alla salvezza personale è soltanto attraverso il suo ruolo pubblico, sociale. Ecco perché pensare di fare a meno della festa – che non vuol dire banchetti esagerati e lusso sfrenato – significa rinunciare a una componente costitutiva del matrimonio cristiano.